(Photo by Paul ELLIS / AFP)

(Roma, 14 novembre 2021) – Un patto “imperfetto”, così è stato chiamato l’accordo conclusivo della Cop26 Glasgow. Un patto “annacquato”, fatto di conferme e ombre tutte da chiarire.

C’è l’impegno globale a “intensificare gli sforzi verso la riduzione del carbone senza sistemi di cattura CO2 e la fine dei sussidi ai combustibili fossili inefficienti”. Purtroppo l’emendamento presentato all’ultimo momento, alla plenaria finale, dall’India con Cina, Bolivia, Arabia Saudita e Iran silenti dietro le quinte – “Chiediamo di utilizzare il termine phase down invece di phase out”, diminuzione invece che eliminazione – è stato un vero scacco matto che ha costretto gli Usa e l’Unione europea a ingoiare il rospo di un duro compromesso.

C’è un passo in avanti nel riconosce l’impegno degli Stati a fermare il riscaldamento del pianeta a 1,5 gradi e non a 2. Tuttavia bisogna ricordare che già oggi il riscaldamento globale è a 1,2 gradi. Ma non c’è un meccanismo vincolante che induce i Paesi a realizzare in concreto gli impegni presi con il Ndc, ovvero gli impegni che ciascuno Stato si è preso per ridurre in concreto le emissioni clima. Il protocollo di Parigi prevedeva un controllo ogni cinque anni che andava ridimensionato e accorciato. Nel patto finale è rimasta la verifica al 2022.

C’è l’intesa sulla necessità di fornire un maggiore sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo per consentire loro di intraprendere azioni di adattamento al clima. Tuttavia la promessa fatta dai Paesi più ricchi del mondo di stanziare 100 miliardi di dollari l’anno in favore degli Stati in via di sviluppo rimane ancora oggi disatteso. I paesi sviluppati si sono impegnati però a raddoppiare almeno il loro sostegno per l’adattamento entro il 2025.

Ci sono gli impegni assunti dagli Stati a margine della Cop26: il programma per ridurre di almeno il 30% le attuali emissioni di gas metano entro il 2030 concordato da più di 100 nazioni; l’accordo, sottoscritto da 100 Stati, tra i quali Brasile e Cina, che pone fine alla deforestazione entro il 2030 insieme ad uno stanziamento per ricostruire le foreste e sostenere gli indigeni; l’intesa strategica tra Usa e Cina che, se da un lato fa ben sperare in un dialogo fino ad oggi tutt’altro che scontato, dall’altro è un cammino tutta da riempire di contenuti. L’Italia è stata protagonista di molti di questi accordi e segna un indubbio successo l’impegno a finanziare e rendere un appuntamento fisso ogni anno la Cop-Giovani.

La Cop26 di Glasgow si è chiusa lasciando un po’ l’amaro in bocca per il compromesso al ribasso che si è reso necessario per raggiungere l’accordo di 197 Stati.
Ciò che non conosce compromessi è però lo stato di salute del nostro pianeta.

Ora però guai a lasciarsi scoraggiare: questa Cop26 deve essere da stimolo sia per l’Unione europea che deve continuare a guidare questo processo di cambiamento, sia per il l’Italia, chiamata a proseguire l’impegno verso uno sviluppo sostenibile.

Pensiamo a questa Cop26 come base del futuro prossimo per il lavoro ancora da fare, con la speranza che abbia ragione John Kerry: che sia “l’inizio di qualcosa” di buono.

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COP26: “Un patto imperfetto, fatto di conferme e ombre da chiarire. Pensiamo a questa Cop26 come base del futuro prossimo per il lavoro ancora da fare”
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