(Roma, 17 giugno 2020) – “Ogni popolo stabilisce silenziosamente e senza intenzione quali giorni resteranno nella sua memoria. Quali saranno simbolo di dolore o evocheranno la paura, quali restituiranno senso alla speranza o regaleranno sempre e comunque un sorriso. Un popolo non lo decide mai sul momento. Tutto viene scavato e rielaborato nel tempo”.

“La notte del 17 giugno del 1970 in cui si giocò, o meglio in cui tutta l’Italia giocò, la partita Italia-Germania fu uno di quei giorni.”

Inizia così l’introduzione del nuovo libro di Nando dalla Chiesa, ”LA PARTITA DEL SECOLO. ITALIA-GERMANIA: 4 A 3. Storia di una generazione che andò all’attacco e vinse“, pubblicato da Solferino editore, tratta da La Lettura – Corriere della Sera, che ho letto quasi per caso, incuriosita dall’evento al quale per ragioni anagrafiche non ho potuto assistere, ma anche dall’intrigante domanda che Dalla Chiesa pone:
Perché è diventata questa, la partita del secolo?

Perché quella fu la notte delle prime volte.

Fu certo la prima volta in cui l’Italia giocò in televisione a mezzanotte, nell’ora in cui i sogni si liberano e le convenzioni sociali si allentano; fu la prima volta che un popolo intero, di tutte le classi e le età e le idee politiche, si diede spontaneamente convegno nelle piazze illuminate di ogni città; fu la prima volte delle donne. La metà del cielo fin lì tenuta fuori dagli stadi, tanto da far nascere anni prima sul tema una canzone di successo.

Fu anche la prima volta del tricolore, i colori della bandiera quella notte si affacciarono progressivamente sui balconi e nelle piazze; la prima volta che l’Italia degli Azzurri aveva giocato in attacco e vinse, senza cautele tattiche e con il cuore a mille, interpretando il sentimento di un’intera generazione. Andare all’attacco per cambiare il mondo, per realizzare diritti, libero amore e giustizia sociale, dentro un grande disordine creativo, come quello che era andato in scena all’Azteca, in quei Mondiali del 1970.

E fu la prima vittoria di un Paese fatto, con fatica e dedizione, dalla generazione degli ottantenni contro cui, mezzo secolo dopo, cioè oggi, si sarebbe accanito il coronavirus. Non c’è contrasto più straziante di quello che qui si affaccia, tra la straordinaria festa di popolo, quell’esperienza collettiva indimenticabile del 70’, e il silenzio livido e solitario dei camion militari che portano via le bare delle vittime da Bergamo, sottraendole a ogni affetto possibile.

Quella partita simboleggia l’emblema delle vittorie raggiunte con le unghie e con i denti dal popolo italiano. Che sembrava schiavo senza speranza della ferocia nazista e se ne è liberato grazie a minoranze coraggiose; che sembrava destinato solo a emigrare e ha costruito una delle maggiori potenze economiche mondiali; che sembrava obbligato a convivere per sempre con il terrorismo, e di nuovo con minoranze coraggiose lo ha battuto; che sembrò in ginocchio contro Cosa Nostra e ancora grazie a importanti e coraggiose minoranze l’ha decapitata e indebolita.

Per questo anche oggi quella partita può essere un emblema. Le perdite del 2020 non sono state e non saranno né poche né indolori. Ma l’ Italia del 4-3 non è stata solo una squadra di calcio. E può tornare.”

L’Italia del 4-3: una nazionale che diventò nazione.

Share Button
ITALIA-GERMANIA 4-3: “Una nazionale che divetò nazione”
Tag: