(Roma, 31 agosto 2020) – In questo passato fine settimana ancora una volta l’Italia ha subito gli effetti del surriscaldamento climatico con eventi meteorologici sempre più intensi, violenti e devastanti per i danni e i morti causati.
Come purtroppo dimostrano le ferite inferte sul territorio del nord e centro del nostro Paese. In Trentino l’Adige è esondato a Egna; in Piemonte e nel Veneto intere zone sono state messe in ginocchio; la zona dell’Alto lago di Como è stata interessata da tre smottamenti rispettivamente a Domaso, Gera Lario e il più violento a Vercana: torrenti di fango, sassi e detriti che hanno travolto tutto. In provincia di Varese un giovane comasco è ancora disperso dopo lo straripamento del fiume Molinera a Maccagno. Mentre la tragedia più grave è avvenuta a Marina di Massa dove due sorelline di 3 e 14 anni hanno perso la vita colpite da un albero caduto sulla tenda nel campeggio presso il quale trascorrevano gli ultimi giorni di vacanza con i genitori.
“L’Italia – scrive oggi Giacomo Talignani su la Repubblica – regina per dissesto idrogeologico, con un clima che tende a una tropicalizzazione e un territorio fragile già devastato da sfruttamento del suolo, abusivismo e infrastrutture inadeguate, viene dunque sconvolta”. E se non invertiremo subito il trend della produzione di gas serra, responsabili del surriscaldamento climatico, andrà anche peggio. A spiegarlo l’ultimo lavoro scientifico in ordine di tempo “Future of the human climate niche” pubblicato agli inizi dello scorso maggio sulla rivista scientifica americana Proceedings of the National Academy of Science (Pnas) dove ci viene spiegato come cambierà la “geografia climatica” della Terra in caso di inazione da parte dell’uomo, delle nazioni, della comunità internazionale.
Se non agiremo per mitigare il riscaldamento globale, ci dicono le previsione del team di scienziati internazionali autori dell’articolo, entro i prossimi 50 anni, nell’ipotesi più pessimistica, un terzo della popolazione mondiale potrebbe vivere in aree calde come il deserto del Sahara. Se invece dovesse realizzarsi lo scenario migliore sarebbero circa 1,2 miliardi le persone costrette a vivere in luoghi caldi dove la temperatura rappresenta una seria minaccia per la salute. Ciò significa che nel 2070, procedendo ai ritmi attuali, il clima cambierà più di quanto sia cambiato negli scorsi seimila anni. E questo farà ritrovare un terzo della popolazione globale in ambienti con una temperatura media attorno ai 29 gradi, quella che oggi si registra nello 0,8 per cento della superficie terrestre, in zone desertiche di fatto invivibili.
Tocca agire, e agire in fretta. Servono politiche di mitigazione, per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, e politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, per attrezzare le nostre città e i nostri territori a “resistere” all’impatto che già oggi subiscono a causa di eventi sempre più violenti. Un impegno non più rinviabile, da affrontare sfruttando al meglio le risorse che il Recovery Fund ci mette a disposizione proprio per realizzare gli obiettivi della transizione ecologica e della neutralità climatica, priorità dell’Unione Europea. Senza dimenticare che spendere bene i soldi in prevenzione e messa in sicurezza del territorio significa fare un grande investimento in lavoro e valore per le comunità di oggi e per le generazioni future.
Per il Partito Democratico è questa una delle priorità del Piano per la ripresa che il Governo italiano dovrà presentare nelle prossime settimane in Europa.