(Roma, 5 febbraio 2024) – Risale in Italia lo spreco alimentare: in discarica finiscono 4 tonnellate di cibo e 13 miliardi buttati (che equivalgono a quasi un punto di Pil). Si tratta dell’8,05% di spreco in più rispetto al 2023, per un costo l’anno a famiglia di 290 euro e di 126 euro pro capite. In media nelle case di ogni italiano si passa da 75 grammi di cibo buttato ogni giorno a testa nel 2023, a quasi 81 grammi nel 2024, in pratica oltre mezzo chilo (566,3 grammi).
Sono le previsioni per il 2024 emerse dal Rapporto “Il caso Italia” dell’Osservatorio Waste Watcher International, pubblicate in vista dell’undicesima “Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare” che si celebra ogni 5 febbraio.
“Il caso Italia” perché esiste nel nostro Paese una correlazione tra l’aumento dello spreco di cibo e l’allarme sociale. Nonostante l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, il rincaro delle bollette, le rate dei mutui salite alle stelle e gli stipendi ancora “paralizzati”, le previsioni dicono che l’aumento della povertà fa aumentare anche lo spreco di cibo: più poveri ma anche più “spreconi”. Può sembrare un controsenso, ma non è così. Per risparmiare, infatti, i cittadini a reddito medio-basso mangiano peggio badando meno alla qualità dei prodotti che finiscono sulla loro tavola. Un consumatore su due a basso potere di acquisto cerca al supermercato frutta, verdura, pane e cibi pronti che siano a ridosso della scadenza o più deperibili perché costano meno anche se rischiano di finire in gran parte nel sacchetto dell’umido.
Dall’indagine risulta inoltre che il 41% degli italiani preferisce il discount a scapito del negozio, mentre il 77% ha dichiarato che dovrà intaccare i risparmi per fronteggiare il costo della vita sempre più elevato. E, ancora, c’è una tendenza a sprecare di più nelle regioni del Sud (4% oltre la media nazionale) che in quelle del Nord (-6%) e nelle città rispetto ai piccoli centri. Un altro aspetto che emerge dal Rapporto è che le famiglie senza figli sono meno attente delle altre a non sprecare.
Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, – spiega Segrè – ma anche un peggioramento nella propria dieta e della sicurezza alimentare. Non a caso dall’indagine emerge che il ceto che si dichiara “popolare” (“mi sento povero e fatico ad arrivare alla fine del mese”) presenta infatti un allarmante aumento del 280% di insicurezza alimentare rispetto alla media nazionale.
Le soluzioni per combattere il fenomeno vengono infine individuate, nel Rapporto, attraverso vari comportamenti, ritenuti virtuosi, da parte di singoli cittadini, istituzioni e mondo imprenditoriale: puntare sull’istruzione nelle scuole (88%), far conoscere ai cittadini l’impatto negativo dello spreco sull’economia (87%), far conoscere i danni sull’ambiente (82%), migliorare le etichette dei prodotti sulle modalità di consumo (81%), realizzare confezioni più piccole (73%), far pagare le tasse in base allo spreco (56%), realizzare confezioni più grandi (37%), far pagare di più il cibo (20%). Idee, possibili proposte, iniziative in parte già intraprese.
Servono comportamenti concreti per modificare il nostro stile di vita e combattere lo spreco alimentare e il suo impatto sul pianeta. Affrontare la crisi alimentare emergente richiede un approccio integrato che comprenda sia iniziative educative per promuovere scelte alimentari sane, consapevoli e sostenibili, che strategie di sostegno economico per mitigare gli impatti dell’inflazione sulla sicurezza alimentare, con una attenzione particolare alla tutela dei ceti sociali più vulnerabili.