(Roma, 3 dicembre 2020) – In questi giorni è stato presentato il Rapporto nazionale di sistema sulla Qualità dell’Aria, alla sua prima edizione, realizzato nell’ambito delle attività del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA) in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). L’obiettivo del volume è quello di valutare l’esposizione dei cittadini all’inquinamento atmosferico che sappiamo essere uno dei più rilevanti problemi ambientali all’attenzione delle istituzioni italiane ed europee anche e soprattutto in questo periodo in cui la pandemia da Covid-19 ha evidenziato l’importanza di approfondire le sinergie tra inquinamento dell’aria e diffusione del contagio.

Questo Rapporto rappresenta un primo e grande sforzo di armonizzazione delle informazioni sulla qualità dell’aria per l’anno 2019 e per tutti gli inquinanti e gli indicatori previsti dalla normativa.

Un Report importante e complesso. Sappiano, infatti, che l’inquinamento atmosferico determinato dalle attività antropiche è un fattore riconosciuto di rischio per la salute umana e per gli ecosistemi. L’inquinamento dell’aria dipende in modo complesso da una serie di fattori: l’intensità e la densità delle emissioni su scala locale, regionale o nazionale, le caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze disperse in atmosfera e la loro reattività; le condizioni meteorologiche e l’orografia del territorio che influenzano il movimento delle masse d’aria; i meccanismi di diluizione o di accumulo degli inquinanti; la velocità di formazione e trasformazione delle sostanze; il trasporto a lunga distanza e la deposizione.

Il quadro che emerge dagli studi e dalle analisi fatte è quello di un progressivo miglioramento del trend decennale della qualità dell’aria in Italia nel periodo 2009-2019. Un miglioramento, per il quale, però, non ci si può rallegrare poi molto. Infatti, in tutto il territorio nazionale i valori degli inquinanti risultano ben al di sopra dei valori limite e dei valori obiettivo previsti dalla normativa per la tutela della salute dei cittadini e della vegetazione (D.lgs. 13 agosto 2010, n. 155 “Attuazione della direttiva 2008/CE relativa alla qualità dell’aria ambientale e per un’aria più pulita in Europa”, modificato dal D.lgs del 24 dicembre del 2012). Nel 2019 si sono verificati superamenti del valore limite giornaliero del PM10 in diverse regioni del Paese. Sussistono anche superamenti del valore limite annuale del biossido di azoto ed è confermato il mancato rispetto dell’obiettivo a lungo termine per l’ozono esteso a tutto il territorio nazionale. Significative riduzioni delle concentrazioni di PM10, PM2,5 e biossido di azoto sono state osservate nel decennio esaminato.

Occorre, inoltre considerare che gli obiettivi, più stringenti, fissati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono per il nostro Paese ancora lontani dall’essere raggiunti. Mentre nell’ambito europeo è importante ricordare che proprio recentemente, il 10 novembre 2020, l’Italia è stata condannata in via definitiva dalla Corte di Giustizia dell’UE, per aver violato il diritto europeo sulla qualità dell’aria ambiente, poiché i valori limite del PM10 sono stati superati in maniera “sistematica e continuata” tra il 2008 e il 2017. Un fatto molto grave dal punto di vista ambientale che si collega alle criticità non trascurabili, rilevate sempre nel quadro europeo, riguardanti lo stato di salute del bacino padano, che rappresenta ancora una delle aree dove l’inquinamento atmosferico è più rilevante.

Vale dunque la pena soffermarci sui dati rilevati dal Rapporto nella Pianura padana.

QUALITA’ DELL’ARIA NELLA PIANURA PADANA

La qualità dell’aria in Pianura padana è fortemente influenzata dalle condizioni meteorologiche e morfologiche che impediscono la dispersione degli inquinanti nei periodi invernali, determinando il superamento dei valori limite. Tutte le Regioni italiane hanno attuato negli ultimi decenni Piani per la qualità dell’aria ma i risultati non sono ancora tali da rientrare nei livelli limite di PM10, del biossido di azoto (NO2) e di ozono (O3), richiesti dall’UE.

Secondo il progetto PrepAIR(*) per rientrare nei livelli minimi indicati dall’UE nella pianura padana è necessario ridurre, rispetto ai valori emissivi del 2013, rispettivamente, le emissioni dirette di PM10 del 38%, degli ossidi di azoto di circa il 40% e del 22% di ammoniaca

Durate il lockdown di marzo, determinato a causa dell’emergenza pandemica da Covid-19, è stato compiuto uno studio sulla qualità dell’aria che ha permesso un utile confronto con le medie dei valori delle sostanze inquinanti della Pianura padana registrati nel triennio 2016-2019 e di rispondere quindi ad una serie di domande.

Tale studio ha mostrato come, nella Pianura padana, le quantità di monossido e biossido di azoto, e di benzene registrate nell’aria sono risultate significativamente inferiori su tutta l’area rispetto alla media dei valori del triennio 2016-2019; mentre il valore del particolato, pur PM10 e PM2,5, pur leggermente in diminuzione, non ha registrato un’analoga significativa differenza tra i valori del 2020 e quelli del triennio di riferimento. Anche le concentrazioni di ammoniaca derivanti dal settore zootecnico e agricolo non soggetto a restrizioni nel periodo di lockdown di marzo, non mostrano sostanziali differenze rispetto al periodo 2016-2019.

Quali le cause di queste differenze? – Il progressivo decremento per quanto riguarda gli ossidi di azoto è determinato dalla riduzione della circolazione dei veicoli che ha raggiunto l’80% per i veicoli leggeri e il 50-60% dei veicoli commerciali pesanti. Il decremento sensibilmente inferiore per i PM10, è invece stato determinato dall’utilizzo, ancora attivo, durante il lockdown del riscaldamento degli ambienti domestici e dall’uso delle biomasse, soprattutto nei mesi di freddo. Inoltre, la dinamica del particolato, anche con emissioni ridotte a causa del lockdown, è fortemente condizionato dalle condizioni meteorologiche e può portare ad episodi di superamento dei valori limite, seppure di intensità molto inferiore rispetto a quella che si avrebbe in condizioni di emissione usuali.

Quali le concentrazioni in assenza di lockdown? – Si valuta che, in assenza delle restrizioni imposta dal lockdown, alle medesime condizioni meteorologiche, la concentrazione del biossido di azoto sarebbe aumentata di circa il doppio mentre la concentrazione di PM10 sarebbe stata superiore di circa 1/3. Quindi nella fase di lockdow, si è dimezzato l’ossido di azoto e ridotto di 1/3 il PM10.

Cosa sarebbe successo se avessimo applicato le misure restrittive per tutto l’anno? – Saremmo rientrati nei limiti europei riferiti alle sostanze inquinanti nell’aria, uscendo quindi, dalle procedure di infrazione.

Cosa occorre fare? – L’esperienza del lockdown ha fornito dati interessanti e, quindi, dato la possibilità agli Enti interessati di poter tarare meglio i Piani della Qualità dell’aria e degli Accordi interregionali del bacino padano, per ridurre le emissioni e le quantità di inquinanti nell’aria, permettendo quindi di rientrare nei limiti europei.

Le riduzioni delle emissioni dei monossidi e biossidi di azoto, dell’ordine del 30-40%, sembrano essere sufficienti per far registrare una diminuzione entro i limiti della concentrazione di queste sostanze. Viene quindi confermata la necessità di agire sul settore dei trasporti attraverso azioni finalizzate alla diminuzione dei flussi di traffico e della domanda di mobilità, ed alla promozione di modalità di spostamento più sostenibili come la mobilità elettrica, ciclistica, micro-mobilità, ecc..

La riduzione delle emissioni di ossido e biossido di azoto sull’intera Pianura padana, accompagnata da una riduzione delle emissioni di PM primario dell’ordine del 7-20% può tuttavia non essere sufficiente, nelle condizioni meteorologiche di stagnazione tipiche della Pianura padana, a garantire il rispetto del valore limite giornaliero e annuale. Sono quindi necessarie misure che consentano di ridurre maggiormente le emissioni di PM10 primario, in particolare nell’ambito del riscaldamento degli ambienti.

E’ inoltre necessario agire anche sulle emissioni dei precursori, come l’ammoniaca, derivante dalle attività agricole/zootecniche.

(*) Il Progetto PrepAIR è un Progetto con una dotazione finanziaria di circa 17milioni di euro – di cui 10 derivanti dai fondi UE con il Programma Life – che ricomprende 18 partner tra cui le sei Regioni del bacino padano: Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Provincia di Trento e Friuli Venezia Giulia; sette Agenzie Ambientali: Arpae Emilia-Romagna, Arpa Lombardia, Arpa Piemonte, Arpa Veneto, Arpa Valle d’Aosta, Arpa Friuli Venezia Giulia, Agenzia Ambientale slovena; tre Città metropolitane: Bologna, Milano e Torino; due enti privati: Art-ER. Fondazione Lombardia per l’Ambiente. L’area interessata dal progetto è di circa 135mila Kmq con una popolazione di più di 28 milioni di abitanti. La durata del Progetto è di 7 anni: dal 1 febbraio 2017 al 31 gennaio 2024. La finalità è quella di collaborare con le Regioni e gli altri partner per realizzare le misure previste dai Piani della Qualità dell’aria e dall’Accordo di Bacino Padano, attuandole in scala più ampia per poterne rafforzare i risultati sia in termini di efficacia che di durata.

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QUALITA’ DELL’ARIA: “Valori inquinanti fuori dai limiti e dagli obiettivi richiesti dalla normativa Ue. Il bacino padano l’area più inquinata”
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