(Roma, 27 aprile 2018) I livelli di inclusione sociale di donne e bambini sono “insufficienti” in 100 dei 171 Paesi presi in considerazione dal quarto rapporto WeWorld Index, presentato lo scorso 18 aprile a Roma al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperaizone Internazionale dalla WeWorld Onlus, una ong impegnata da quasi vent’anni nella difesa di donne e bambini.
La novità del WeWorld Index 2018 è la centralità data all’educazione. Considerata come elemento fondamentale per l’inclusione di donne, bambine, bambini e adolescenti all’interno della società, l’educazione diventa il mezzo attraverso cui un Paese riesce ad evolversi, garantendo i diritti fondamentali di eguaglianza e pari accesso alle risorse a donne e uomini indistintamente.
Lo studio segnala cinque le “barriere da eliminare” per combattere l’esclusione: scarsa nutrizione, che blocca o limita la partecipazione scolastica; migrazione, che interrompe i percorsi di istruzione; discriminazioni di genere; violenza nelle relazioni sociali e familiari; povertà educativa, che in combinazione con quella economica diventa ereditaria. Per ognuna di queste barriere WeWorld Onlus ha individuato 5 Paesi che maggiormente ne sono caratterizzati.
Si parte dal Kenya indicato come il Paese rappresentante della barriera della malnutrizione. Nella contea di Mingori il 26,4% dei bambini con meno di cinque anni soffre di denutrizione cronica e il 9% è sottopeso.
Segue l’India, maggiormente caratterizzata dalla barriera delle migrazioni, dove il 40% dei migranti sono minori di 18 anni e dove il 34% dei bambini coinvolti negli spostamenti abbandona il percorso di studi prima del conseguimento di un titolo.
Le discriminazione di genere sono maggiormente quantificate in Nepal dove al 37% delle bambine è imposto un matrimonio combinato prima dei 18 anni e al 10% prima del compimento dei 15 anni.
Il Brasile è significativo per la barriera della violenza sociale e intrafamigliare. I dati più recenti dell’IPEA riferiti al 2017 sono allarmanti: in alcuni stati del Paese i tassi di omicidio sono il doppio della media nazionale (58,1% nel Sergipe, 46,7% nel Ceará) mentre le donne uccise dal proprio marito sono state 4.621 nel 2015.
E’ infine l’Italia a rappresentare l’ereditarietà della povertà educativa. Nel nostro Paese solo l’8% dei giovani, figli di genitori senza diploma di scuola superiore si laurea, rispetto al 68% di laureati provenienti da famiglie in cui entrambi i genitori hanno conseguito un diploma di laurea. Dall’analisi emerge inoltre che la dispersione scolastica nel Mezzogiorno è superiore al 20%, e che 1.292.000 di ragazzi under 18 vive in condizioni di povertà. Inoltre il 9,4% della popolazione studentesca con cittadinanza non italiana è 3 volte più a rischio di dispersione rispetto ai coetanei.
Lo studio della onlus conferma quindi l’esistenza di un rapporto diretto tra povertà economica e povertà educativa, tra reddito e bassi livelli di istruzione e che “le differenze tendono a perpetuarsi da una generazione all’altra”. Povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda e insieme limitano i livelli di apprendimento.
Il WeWorld Index mostra ancora più chiaramente che “l’educazione è una precondizione necessaria per l’inclusione di donne e popolazione under 18, e quindi per lo sviluppo economico”.
A tale riguardo risulta utile ricordare le cifre della dispersione scolastica nel nostro Paese. Secondo i dati Istat l’abbandono scolastico in Italia nel 2016 si è fermato al 13,8% (al pari di Bulgaria e Malta), in netto calo rispetto al 20,8% registrato dieci anni fa, nel 2008. Mentre l’obiettivo Europa 2020 è il raggiungimento del livello del 10%. In termini assoluti le ultime stime del Miur confermano la presenza di circa 23mila studenti “a rischio dispersione” nelle scuole medie e ben 112mila alunni nelle superiori. Numeri che, incrociati alla geografia del Paese, evidenziano forti squilibri territoriali: Campagna, Sicilia e Sardegna sono le regioni che più di tutte stanno al di sopra della media nazionale per tassi di fallimento educativo.
In sintesi, il fenomeno dell’abbandono scolastico è sì in calo, c’è stato un miglioramento negli ultimi anni ma restano forti divari sociali e territoriali rispetto ai quali serve un’azione importante che, come ha affermato la ministro Fedeli “parta dal Ministero dell’Istruzione e che coinvolga e renda partecipi tutti gli altri attori interessate: dalle istituzioni sul territorio alle famiglie passando per il terzo settore, i centri sportivi e l’associazionismo locale”.
Dopotutto “un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo” lo ha insegnato e ricordato al mondo intero Malala Yousafzai.