(Roma, 24 aprile 2025) – Domani l’Italia celebra la festa della Liberazione dal nazifascismo e credo ce ne siano un grande bisogno di ricordarlo, anche in quest’Aula

E’ una festa di pace perché si concludeva la sciagurata guerra voluta dal regime fascista. Proprio per questo è inaccettabile, 80 anni dopo, che il Governo italiano abbia scelto fin dall’inizio un profilo cosi basso e un tono tanto sommesso per celebrare una data simbolo di pace e di unità del Paese.

Così oggi noi sentiamo ancora più forte il dovere di rendere omaggio alla memoria di quanti hanno partecipato alla lotta di liberazione dell’Italia, restituendo così dignità al nostro Paese gettando le basi per costruire la nuova democrazia. A loro dobbiamo quello che siamo oggi, ai partigiani e alle partigiane che hanno combattuto dall’8 settembre del 1943 al 25 aprile del 1945, a tutti gli oppositori del regime fascista finiti al confino, agli incarcerati, ai perseguitati comunisti, liberali, cattolici, socialisti, monarchici, uomini e donne di tutti gli orientamenti politici che ebbero il coraggio di dire no.

A loro oggi, domani e per sempre va il dovere della memoria e la nostra più profonda riconoscenza.

Ma soprattutto un grazie alle donne della Resistenza, donne come Irma Bandiera, Gina Borellini, Carla Capponi, Antonietta Cinotti, Paola Del Din, Ursula Hirschmann, Tina Anselmi, Nilde Iotti, Marisa Rodano, Teresa Noce, Angelina Merlini, Joyce Lussu. Donne come Wilma Conti, giovanissima staffetta partigiana della mia terra testimone infaticabile dei fatti storici avvenuti a Dongo nei giorni della Liberazione: il tentativo vigliacco di fuga e la cattura di Mussolini e dei gerarchi fascisti ad opera dei partigiani, la loro fucilazione. Fatti che nessuna patetica celebrazione di nostalgici riuscirà mai ad oscurare. Ad appena quindici anni Wilma saliva sui monti dell’Alto Lago di Como, per consegnare lettere e messaggi ai partigiani. La sua forza era quella di vincere la paura; quella forza che conservò anche dopo nella sua vita a guerra finita. Quante donne ha aiutato a partorire la levatrice Wilma raggiungendole in piena notte in bicicletta nei paesini della valle; a quanti giovani nelle scuole ha consegnato la memoria dei fatti accaduti, il senso di un impegno per la democrazia e la libertà.

Come lei, centomila donne o forse più, donne semplici eppure eroiche che facevano turni di guardia, attaccavano con le armi i nazifascisti, salvavano ebrei, facevano fuggire gli uomini durante i rastrellamenti. Donne impegnate in quegli anni su due fronti: combattere un nemico che aveva tolto la libertà a tutti: lottare un sistema che le aveva condannate ad essere solo spose e madri. La Resistenza per le donne non fu solo lotta contro il regime e gli invasori ma conflitto per conquistare la propria libertà. Le loro storie, uniche, irripetibili, di questo meraviglioso esercito femminile troppo presto e troppo spesso finito nel dimenticatoio della storia, come erano finite in fondo alle file dei cortei, durante le sfilate nelle città liberate. Eppure furono quelle stesse donne che consegnarono un anno dopo la vittoria della Repubblica, con la loro voce e il loro volto. A loro l’omaggio di tutti noi, delle donne di oggi per quello che ci hanno insegnato, per quello che oggi noi siamo.

Il 25 aprile è un’eredità alla quale qualcuno preferirebbe rinunciare. Noi non lo consentiremo perché non lo consente la storia. Alla lotta di Liberazione dobbiamo la nostra costituzione repubblicana e antifascista. E’ grazie alla Resistenza che l’Italia ottenne dagli Alleati di poter scegliere liberamente la forma di Stato e poter scrivere la nostra Carta Costituzionale.

Il 25 aprile deve far parte della memoria collettiva del Paese, quella di chi scelse allora di schierarsi dalla parte giusta della storia, storia che non è mutevole: c’è una parte giusta e una sbagliata. La lotta antifascista è fondativa della nostra repubblica. La memoria non è un museo di vecchi ricordi ma un luogo di elaborazione di un passato in cui si misurò la forza di un popolo dove il coraggio diventò una disperata necessità. Nessuno scelse di essere lì, a tutti la disperazione impose dei doveri.

Il 25 aprile non è dunque un monumento retorico. È quello che siamo stati. È anche quello che vogliamo essere di fronte alle generazioni future. È quello che vogliamo celebrare oggi in quest’Aula e domani nelle piazze, con la fierezza e l’orgoglio che nessuna sobrietà potrà mai sopire.

Qui per rivedere il mio intervento in Aula sul 25 aprile 

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25 APRILE: “Nessuna sobrietà potrà cancellare l’orgoglio con cui celebriamo la Liberazione”
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