(Roma, 22 luglio 2021) – Il 22 luglio del 2011 l’estremista norvegese di destra Anders Behring Breivik nel tempo di un pomeriggio, uccide 77 persone.

Il primo attacco alle 15.25 a Oslo: fa esplodere un’autobomba davanti al palazzo del primo ministro norvegese, 8 i morti. Poco dopo, il secondo attacco, sull’isola di Utoya, non lontano dalla capitale norvegese. Qui Breivik uccide a sangue freddo, uno dopo l’altro, a colpi di fucile caricato con pallottole ‘dum dum‘, munizioni vietate dal codice di guerra, vestito da agente di polizia, 69 studenti riuniti per un campo estivo organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista norvegese.

A distanza di 10 anni, la strage di Oslo e Utoya è una ferita ancora aperta, 77 persone morte ammazzate, in gran parte giovanissimi con l’unica colpa di avere ideali e una passione per la politica.

Una nazione scioccata, una generazione di trentenni segnata irrimediabilmente nella coscienza dalla follia estremista di destra; una strage atroce e assurda.

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OSLO E UTOYA: “Una ferita ancora aperta, profonda, nella coscienza di un’intera generazione e di una nazione”
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