(Roma, 9 giugno 2020) – Si prova una certa inquietudine a leggere l’articolo pubblicato da Wired. Sapere che la città di Como ha deliberatamente scelto, installato e attivato sistemi di riconoscimento facciale in alcune vie o piazze urbane, nonostante ‘sia una città sicura’, diventando uno dei primi centri in Italia ad usare una tecnologia così invasiva.
L’inchiesta ricostruisce la genesi di questo insolito primato comasco mettendo in luce il ruolo del Comune di Como e delle aziende private A2a Smart City spa e della cinese Huawei Italia, assegnatarie del progetto tramite procedura in affidamento diretto per un importo di circa 40mila euro, unitamente alla scarsa attenzione per le ripercussioni di una tale scelta in termini di diritti e privacy.
Non a caso, infatti, nel febbraio scorso il Garante della privacy ha emesso un provvedimento nei confronti del Comune di Como, dal quale emerge che mancano le basi legali per installare il sistema di riconoscimento biometrico. Nonostante questo l’amministrazione Landriscina non si è fermata. Anzi, dopo un primo test ha di fatto deciso di allargare la rete di questo tipo di videosorveglianza.
Mentre su (quasi) tutti i fronti cittadini l’amministrazione segna stalli e ritardi, su questa vicenda invece si procede a tutta velocità, senza dare alcuna rilevanza pubblica a un’iniziativa che invece incide così significativamente sulla vita delle persone. Tanto più che come emerge chiaramente dal dibattito anche internazionale la sorveglianza è un’interferenza seria nelle vite dei cittadini e ‘non può essere affidata ad aziende private, il cui principale obiettivo sarà sempre quello di massimizzare i profitti“.
Questa vicenda merita un po’ più di attenzione, a tutti i livelli. Per questo insieme al collega Filippo Sensi stiamo presentando un’interrogazione al Governo per verificarne gli aspetti di competenza.