(Como, 11 giugno 2019) – “Un boccone amaro, che cambierà, e sta già cambiando in peggio la realtà delle piccole e medie imprese”. Questa, in sintesi, la valutazione espressa dai vertici della CNA del Lario e della Brianza nella conferenza stampa tenutasi ieri sul decreto legge n. 34/2019, il cd. Decreto Crescita recante misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi. Un incontro al quale per impegni istituzionali, comuni anche ad altri parlamentari comaschi, non ho potuto partecipare direttamente.
“Non possiamo esimerci – hanno continuato il segretario regionale di Cna, Stefano Binda insieme con il segretario comasco di Cna Lario e Brianza, Alberto Bergna e i dirigenti Nicodemo Candido, Mario Gualco, Giovanni Picariello, Claudio Brachiroli, Ambrogio Pontiggia – dall’evidenziare una sostanziale debolezza dell’impianto del Dl Crescita determinata dall’assenza di una vera e propria visione d’insieme, di una direzione di marcia stabile per le pmi”. Due sono i “pugni nello stomaco” che fanno cambiare il giudizio di CNA sul decreto da positivo a quasi sufficiente”.
Il primo “pugno” il Governo Lega-5Stelle lo assestano sull’applicazione della lettera “R” della riforma Bassanini, prevedendo la cancellazione dell’autonomia regionale in materia di credito ovvero eliminando la facoltà per le Regioni di intervenire in materia di accesso al Fondo garanzia per le piccole e medie imprese. Singolare il fatto che mentre si discute di regionalismo differenziato, il Governo intervenga abrogando una misura pensata proprio per valorizzare e integrare gli strumenti regionali presenti nonché la correlazione esistente tra garanzie private e garanzie pubbliche, nell’intento di sostenere l’accesso al credito delle piccole e medie imprese.
Il secondo “pugno nello stomaco” riguarda le modifiche introdotte agli incentivi all’efficienza energetica e alla prevenzione del rischio sismico, i cd ecobonus e sismabonus. Al cittadino che sostenga tali spese è data la possibilità di ricevere un contributo immediato, anticipato dal fornitore sotto forma di sconto sul corrispettivo spettante. Tale sconto sarà poi recuperato dal fornitore come credito d’imposta da utilizzare in compensazione. Sebbene dal lato della domanda questa norma generi un beneficio per l’utente finale, dal lato dell’offerta, e quindi delle imprese, produrrà inevitabilmente una iniqua distorsione del mercato. Infatti, soltanto i fornitori più strutturati, con elevata capacità finanziaria saranno nella condizione di anticipare all’utente la liquidità necessaria ad integrare lo sconto. Questo avrà come effetto negativo quello di escludere dal mercato molte piccole imprese favorendo invece il rafforzamento dei grandi operatori energetici, delle multiutilities, unici ad avere capienza fiscale adeguata e risorse finanziarie consistenti. Con ciò si opera quindi una concorrenza sleale nei confronti delle piccole imprese favorendo un mercato monopolistico.
In sostanza, il Dl Crescita varato da Lega e M5Stelle da un lato elimina lo strumento dell’autonomia Regionale per l’accesso al credito fondamentale per le pmi; dall’altro azzoppa lo sviluppo di una filiera come quella della riqualificazione energetica in cui proprio le piccole e medie imprese sono state fino ad oggi protagoniste del settore.
Il giudizio più duro sul Dl Crescita viene tuttavia dalla categoria degli installatori. “Stupisce che a Roma non sappiano che il tessuto imprenditoriale italiano sia composto per il 90% da piccole medie imprese. Questo decreto, infatti, sembra essere stato creato non per il 90% delle pmi ma per il restante 10%”. Parole pronunciate con pacatezza e amarezza ma affilate come lame che dicono già tutto sul provvedimento in esame.
Ma c’è un ultimo punto che mi ha sbalordito non poco. Mi riferisco alla risposta data sullo sconto derivante dagli eco e sisma bonus dal consigliere regionale del M5S Raffaele Erba, presente alla conferenza stampa in pieno assetto da battaglia difensiva contro le bordate lanciate dritte a smantellare buona parte del decreto Crescita. L’idea sostenuta dall’esponente del M5S in Regione Lombardia è quella di ripagare lo sconto corrisposto ai clienti dai fornitori con l’emissione di minibot o di certificati di credito fiscale. Ora, a parte le “implicazioni di sistema” che uno strumento del genere produrrebbe a livello macroeconomio, ma ve li immaginate i piccoli imprenditori comaschi, qualcuno magari con problemi di liquidità, accettare di essere pagati con minibot? Ovvero venir pagati con titoli di Stato di piccolo taglio “di cui – come fa notare Tommaso Monacelli, professore ordinario di Economia all’Università Bocconi di Milano su un articolo pubblicato da la.voce.info ripreso anche da Il Sole 24Ore, non proprio un quotidiano di sinistra – potrebbero scontare il proprio credito solo più tardi al momento di pagare le tasse dovute? Perché ciò che accadrebbe con i minibot è che proprio “in ragione di questo lasso temporale (più o meno lungo), è come se di fatto l’impresa sostenesse un costo implicito in misura pari ai mancati interessi (altrimenti, perché semplicemente non ridurre le tasse alle imprese dello stesso ammontare dei crediti esistenti, senza alchimie cartacee?). Un guadagno per lo Stato, una tassa implicita per l’impresa. E un ulteriore motivo per guardare i minibot con sospetto. Quello dei debiti inevasi della Pa con le imprese private è un problema reale, che va certamente affrontato. Ma deriva da inefficienze strutturali del nostro sistema amministrativo e non può essere risolto con trucchi monetari” commessi, questa volta, a danno delle piccole medie imprese che rappresentano l’ossatura del sistema produttivo del nostro Paese.