(Milano, 18 settembre 2018) – Negli ultimi 12 mesi, a partire dal luglio 2017, sono arrivati in Italia circa 140 mila migranti in meno, rispetto alla previsione media basata sugli anni precedenti, con un risparmio per lo Stato italiano pari a 1 miliardo di euro. Per i prossimi anni, in base al costo medio giornaliero pro-capite per l’accoglienza e ipotizzando che il calo degli sbarchi rimanga costante, la stima media del risparmio è di 1,9 miliardi di euro. E’ questo uno dei dati che emerge dal paper “Migranti, la sfida dell’integrazione” presentato da Cesvi Fondazione Onlus e ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) qualche giorno fa a Milano. La proposta del rapporto è quella di “ricavare le risorse necessarie per rafforzare il processo d’integrazione attingendo dai risparmi generati dal calo degli sbarchi dell’ultimo anno”, perché solo “le politiche per l’integrazione ben finanziate sin da subito sono le uniche in grado di evitare che rifugiati e richiedenti asilo siano un peso di lungo periodo sulle casse dello Stato”.
Lo studio ha elaborato per la prima volta un modello previsionale che ha messo in luce i mancati arrivi, il risparmio per lo Stato e soprattutto ha indicato una via: queste risorse, se investite principalmente in politiche per l’istruzione e il lavoro, consentiranno di capitalizzare nei prossimi anni quanto già’ speso dalla collettività. L’investimento in politiche per l’integrazione ridurrebbe i costi (meno assegni di disoccupazione, minor livello di criminalità) e produrrebbe invece maggiori benefici (maggior livello salariale medio, maggiori consumi pro capite, maggior livello di entrate fiscali per lo Stato).
Oggi i principali indicatori sociali segnalano una situazione potenzialmente critica.
In Italia registriamo -si legge nel rapporto – una mancanza d’integrazione (gap d’integrazione) in quattro dimensioni fondamentali: l’accesso al mercato del lavoro: l’accesso e la performance nel sistema educativo nazionale; lo stato di salute e l’accesso ai servizi sanitari; i costi sociali (povertà, emarginazione, criminalità).
Il 54% della popolazione di stranieri non comunitari residenti in Italia, ovvero più della metà, è a rischio di povertà o esclusione sociale (Eurostat 2016) e il reddito netto degli stranieri non-Ue è del 39% più basso di quello degli italiani (2016). Le famiglie con stranieri risultano essere anche più povere o deprivate rispetto a quelle più disagiate composte da soli italiani, con conseguenze sull’inserimento abitativo e sulla spesa per le cure sanitarie. Nel 2016, quasi l’80% degli stranieri indicava la precarietà lavorativa come principale difficoltà per trovare un alloggio e nel 2015 quasi il 14% degli immigrati non-Ue ha dovuto rinunciare a visite mediche perché troppo costose. Situazioni di disagio che rischiano di perdurare a lungo gravando sul welfare: il tasso di occupazione dei migranti giunti nei Paesi europei per motivi umanitari resta molto basso per diversi anni dal loro primo ingresso in Europa; lo stesso tasso di occupazione dei rifugiati supera il 60% in almeno 15 anni (media Ue).
Il rapporto cita lo studio del Joint Research Center dell’Unione Europea che ha simulato l’impatto di un aumento della spesa per l’integrazione degli stranieri sulle finanze pubbliche nell’intera Unione europea. Attraverso un modello economico applicato all’intera Ue, sono stati considerati tre livelli di investimento in politiche per l’integrazione e l’impatto economico che ne deriva: status quo (conservazione della spesa attuale), integrazione avanzata (una spesa quasi doppia rispetto ai livelli odierni) e integrazione completa (una spesa cinque volte superiore a quella presente). I risultati della simulazione mostrano che, in caso di investimenti in integrazione quasi doppi nel presente, il Pil dell’Unione europea sarebbe superiore di un valore compreso tra lo 0,6% e l’1,5%rispetto allo scenario di partenza.