(Roma, 01 ottobre 2020) – Ieri ci ha lasciato Quino, il creatore di Mafalda, la ragazzina arrabbiata con il mondo che nel 1964 iniziò la sua vita a fumetti dopo essere stata abbozzata, l’anno prima, per la pubblicità di una fabbrica di elettrodomestici che ne rifiutò il progetto.
Mafalda è la bambina terribile, irriverente e saggia che coi suoi capelli neri a caschetto ha fatto, e continua a fare, da “contraltare ad un mondo adulto indifferente e qualunquista”, che si arrabbia per le ingiustizie subite, anche di quelle quotidiane. Uno spirito indomito, preoccupato per l’umanità che qualche volta ci ha fatto anche vergognare di essere adulti.
Scrisse di lei Umberto Eco: “In Mafalda si riflettono le tendenze di una gioventù irrequieta, che qui assumono l’aspetto paradossale di un dissenso infantile, di un eczema psicologico da reazione ai mass media, di un’orticaria morale da logica dei blocchi, di un’asma intellettuale da fungo atomico”.
Un personaggio “simbolo di un mondo ottimista e ribelle, caustico sì ma anche intimamente buono”. Mafalda che prende, preoccupata, la temperatura al mondo (quasi un presagio del riscaldamento climatico e degli altri disturbi di oggi), lo scopre malato, lo mette a letto per cercare di curarlo, di guarirlo dai suoi mali, quelli degli anni Sessanta, quelli attuali degli anni Duemila.
“Mafalda è sempre attuale perché voleva cambiare il mondo, ma purtroppo il mondo è rimasto lo stesso”, dichiarò qualche anno fa Quino in un’intervista. “Dio mio che adultità!”, gli avrebbe, ne sono sicura, risposto Mafalda, sempre con quel suo piglio acuto e disarmante che al fondo ha lo scopo di spronare a non perdere mai il coraggio e la voglia di migliorarlo, il mondo, quello di allora come quello di di oggi.