Foto tratta da www.tg24.sky.it

(Roma, 29 marzo 2018) Lo scorso 6 febbraio 2018 la Commissione d’inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere, istituita il 19 aprile del 2017, ha approvato all’unanimità la sua Relazione finale, la prima indagine che a quattro anni dall’entrata in vigore della legge ch,e nel 2013, inasprì e allargò la repressione sulla violenza di genere, prova a capire perché in Italia le donne continuano ad essere uccise o perseguitate.

Nell’ultimo quadriennio i femminicidi rappresentano oltre un quarto (+ 25%) degli omicidi complessivi commessi in Italia, con 113 donne uccise lo scorso anno in Italia, da gennaio a dicembre 2017. La relazione evidenzia che, se il numero complessivo degli omicidi è in diminuzione (dal 2011 al 2016 si è ridotto di circa il 39%), i femminicidi sono sì diminuiti ma solo del 14%. Calano anche i reati di violenza sessuale denunciati mentre aumentano i casi di stalking e maltrattamenti riportati alle autorità. Mentre dall’inizio del 2018 sono stati già 24 i casi di donne morte ammazzate per opera di compagni, mariti o ex, con una drammatica impennata nella quarta settimana di marzo, in cui si è contata una donna uccisa ogni 24 ore!

Pur nella difficoltà di estrarre e incrociare numeri e cifre del fenomeno la relazione rappresenta anche un’indagine inedita su come Procure e Corti d’Appello stanno applicando le norme sullo stalking, femminicidio e violenza di genere. Dai dati raccolti, anche attraverso l’uso di questionari, emergono luci e ombre. Se infatti da un lato si constatata l’efficacia delle leggi varate nella passata legislatura, insieme ad una grande accelerazione impressa ai procedimenti che riguardano le violenze sulle donne, dall’altro permangono delle differenze di approccio e di lavoro tra i vari distretti operativi del nostro Paese sull’applicazione delle misure cautelari e sul tasso di archiviazioni e assoluzioni nei processi.  Per usare le parole pronunciate in conferenza stampa dalla già presidente della Commissione, Francesca PuglisiGrandi differenze ci sono sulla presenza di pool di magistrati specializzati e sull’adozione di protocolli di rete che sono efficaci nel contrasto ai fenomeni di violenza contro le donne. Per esempio, ci sono distretti nei quali la presenza di personale specializzato è piuttosto diffusa, come nel distretto di Bologna, Roma, Milano, Firenze e Torino e in altri è quasi del tutto assente come a Bari, Lecce, L’Aquila, Trieste”.

Ma la relazione evidenzia anche un’altra importante incongruenza, ovvero la totale incomunicabilità tra procedimenti civili e penali, e tra questi ultimi e il tribunale per i minorenni. Ognuno, pur trattando dello stesso caso, è come se andasse per proprio conto. Come se la diversità dei contesti “rendesse irrilevante la conoscenza degli elementi acquisiti nei vari filoni processuali”. Così spesso accade che un procedimento penale scaturito da una denuncia per violenza domestica proceda completamente staccato dal procedimento civile di separazione e l’affidamento dei figli. Ne consegue una frequente violazione della convenzione di Istanbul poiché anche quando un giudice ha accertato la violenza domestica, viene disposto l’affido condiviso.

Indispensabile poi il riscontro socio-culturale del fenomeno trattato dall’inchiesta dal quale risulta evidente la necessità di un profondo cambiamento culturale del nostro Paese. Un  cambiamento a livello educativo e formativo ad opera delle scuole, delle università, dei mezzi di comunicazione e delle tante altre istituzioni o enti aventi un ruolo rilevante nella formazione della coscienza collettiva della comunità in cui viviamo ma anche degli operatori e delle figure professionali chiamate a riconoscere senza sottovalutare i segnali della violenza domestica e ad intervenire a sostegno delle vittime.

Nella relazione vengono anche proposte varie misure per contrastare il fenomeno dei femminicidi. Si parla dell’introduzione dell'”omicidio di identità“, quando la violenza porta a “lesioni personali gravissime con deformazione o sfregio permanente del volto, specie se consumate mediante utilizzo di sostanze corrosive”, come l’acido. Si propone di considerare il femminicidio come un omicidio “consumato per ragioni di genere” e si suggerisce di rivedere come un delitto doloso le molestie sessuali, specie nei luoghi di lavoro.

Una relazione, dunque, molto ampia che attraversa tutti gli aspetti del fenomeno del femminicidio e della violenza di genere, che la Commissione ha consegnato al nuovo Parlamento nella speranza che le tante indicazioni contenute nel testo possano essere d’aiuto e attuate in questa XVIII Legislatura.

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Commissione su #femminicidio e #violenza di genere, la relazione finale