(Roma, 24 febbraio 2025) – Come diceva Calamandrei, “La libertà è condizione ineliminabile della legalità”. Quando ci battiamo e ci impegniamo nelle Aule parlamentari, nelle Amministrazioni, sul territorio per garantire a tutte e a tutti le libertà fondamentali, lo facciamo per contribuire a rendere il Paese più libero, più giusto, più sicuro.

Più libero dallo sfruttamento, dalla disoccupazione ma anche a volte da quel welfare tossico alternativo che, in alcuni contesti di maggiore fragilità, le mafie rischiano di offrire a realtà di marginalità e di debolezza.

Combattere le mafie significa garantire alle ragazze e ai ragazzi la formazione e l’istruzione all’altezza di un Paese libero e democratico. I giovani non possono e non devono essere usati come manovalanza criminale. Del resto diceva Gesulado Bufalino “La mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari”: è lì tra i banchi che comincia la battaglia e a quelle maestre, insegnanti, formatori dobbiamo assicurare strutture, mezzi e salari adeguati alla loro missione.

Le mafie pur non abbandonando le tradizionali forme di guadagno, di controllo del territorio come la droga, le armi, il racket, hanno da tempo cercato nuove forme, più subdole, di infiltrazioni, per entrare nell’economia, negli appalti pubblici di qualunque natura. Uno dei dati più preoccupanti è il permeare delle mafie nelle regioni più ricche del Paese, dove le mafie fanno affari infiltrandosi in segmenti particolarmente redditizi: il ciclo del cemento, le gestione dei rifiuti, l’ingente disponibilità di risorse pubbliche destinate a realizzare investimenti sui territori. Le ecomafie sono un pezzo significativo di questo quadro.

Un quadro che rischia di aggravarsi anche di fronte ai segnali preoccupanti che arrivano da questo Governo, con i ritardi nell’applicazione di alcune direttive europee, la disattenzione su proposte che giacciono inascoltate in Parlamento, il costante indebolimento di tutto quello che è prevenzione, elemento fondamentale accanto alla meritoria, indispensabile azione di repressione svolta dalla magistratura e dalle forze di polizia. Penso ad esempio alla crescita a dismisura del ricorso agli affidamenti diretti, alla liberalizzazione del subappalto a cascata, alla riduzione degli spazi di pubblicità e trasparenza negli appalti pubblici.

C’è un dato culturale in cui affondano molte di queste scelte attuate dalla destra al Governo: il fastidio delle regole, norme che vengono pensate non per garantire lo svolgimento legale e sicure delle proprie attività, ma come un orpello inutile, come qualcosa che può essere cancellato, aggirato con la certezza che prima o poi arriverà uno dei tanti condoni come abbiamo visto susseguirsi in questi anni di governo Meloni.

C’è un grande lavoro da fare ogni giorno per contrastare questi fenomeni e confronti come quello di oggi ci aiuta a fare luce su questi temi, per contrastare questi fenomeni ma anche per richiamare alle sue contraddizioni un Governo che in questi anni ha fatto promesse e citazioni roboanti, ma ha progressivamente allentato la maglia dei controlli, della prevenzione, ha delegittimato in molti casi gli strumenti di contrasto e di repressione.

Qui per rivedere il seminario “Lotta alle mafie e alla corruzione al centro della politica

 

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LOTTA ALLE MAFIE E ALAL CORRUZIONE AL CENTRO DELLA POLITICA
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