(Roma, 22 luglio 2025) – Oggi il Senato ha approvato in seconda lettura, con il voto della maggioranza, una riforma della giustizia che è un attacco alla Costituzione e all’autonomia della Magistratura. Una riforma costituzionale unica, in negativo, per le istituzioni democratiche, che non ha visto l’accoglimento di un solo emendamento in nessun passaggio parlamentare e portata avanti a colpi di forzature. Mai, in tutta la storia della Repubblica, una modifica costituzionale è stata imposta con questa “brutalità aritmetica”. Otto articoli che, dietro la formula tecnica della “separazione delle carriere”, ridisegnano di fatto l’assetto del potere giudiziario nel nostro Paese. Una divisione che non riguarda solo l’organizzazione, ma il principio stesso di autonomia della magistratura. Questo il nodo politico. 

La Costituzione viene modificata per stabilire che il potere giudiziario sarà esercitato da una magistratura composta da due corpi distinti: dai magistrati giudicanti e dai togati requirenti (dell’accusa, cioè i pubblici ministeri), disponendo così una netta separazione tra le due funzioni sin dall’inizio della carriera dei magistrati. Ma soprattutto in questo modo si “separano” i giudici dai pubblici ministeri, con l’effetto perverso di generare un isolamento dei pm e preparare il terreno al vero obiettivo a cui punta la destra: ricondurre i pm sotto il controllo del potere esecutivo

La logica che sottende tale riforma è evidente: indebolire la magistratura, rendere la magistratura requirente un corpo isolato, culturalmente allineato al potere politico, non più autonoma, ma “addomesticato”.

Non è una riforma di equilibrio, è una riforma di potere. Dove la giustizia non è più garanzia, ma intralcio. Dove il principio di separazione dei poteri non è rafforzato, ma spezzato. Dove di giustizia non si parla per niente perché non c’è nulla in merito alla durata dei processi, nulla su come affrontare le carenze strutturali della magistratura, nulla su come tutelare maggiormente i cittadini. Come tutte le destre, questa maggioranza non sopporta contrappesi e controlli. Tutto ciò che frena una deriva autoritaria diventa un ingombro da eliminare. È un intervento ideologico, che non separa solo le carriere, ma separa la giustizia dal suo fondamento costituzionale.

E’ stata scritta una brutta pagina, ma non è finita. Ci sono ancora alcuni importanti passaggi parlamentari. Trattandosi di un disegno di legge di revisione costituzionale, l’iter per la sua approvazione definitiva, prevede due votazioni per ciascuna Camera, a distanza non minore di tre mesi. E, se non sarà raggiunta la maggioranza dei due terzi nella seconda votazione, la parola passerà ai cittadini con il referendum popolare. Toccherà quindi a noi italiani fermare l’arroganza di chi è allergico alle regole e vuole piegare le istituzioni ai voleri di una parte. Non lo consentiremo, opponendoci come sin qui fatto con fermezza e responsabilità.

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GIUSTIZIA: “Non una riforma ma un attacco alla Costituzione”