(Roma 8 ottobre 2024) – La destra ha una concezione proprietaria delle istituzioni: per questo non abbiamo partecipato al voto del Parlamento in seduta comune per l’elezione di un giudice della Corte Costituzionale mancante dal novembre 2023. Sono assetati di potere. La compattezza delle opposizioni li ha fermati, ma non cancella la gravità del tentativo di eleggere quale componente della Consulta il consigliere giuridico della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Una figura non solo molto vicina al Governo ma a tutti gli effetti interna all’esecutivo, estensore della riforma del premierato, la legge che porterebbe all’elezione diretta del Presidente del Consiglio, e che proprio la Corte costituzionale si troverà certamente a valutare nei prossimi mesi.
Per garantire il funzionamento della Corte è necessario una maggioranza parlamentare dei due terzi per i primi tre scrutini e dei tre quinti per le successive votazioni. Occorre, quindi, che maggioranza e opposizioni si parlino. E sempre stato così, sempre i giudici costituzionali sono stati eletti con maggioranze ampie, grazie al confronto paziente e leale fra tutte le forze politiche. Come Pd però abbiamo trovato un muro. Volevano andare avanti a prescindere. Ci è stata negata la discussione, l’Aventino l’hanno fatto loro. Un problema serio se, in un passaggio cruciale come questo, la destra non abbia ritenuto doveroso aprire un canale con la prima forza d’opposizione.
Abbiamo sventato una forzatura inaccettabile, ora accettino di dialogare con le opposizioni, come vuole la Costituzione, per assicurare la funzioni di garanzia della Corte Costituzionale.