(Roma, 5 marzo 2024) – In quasi ottant’anni di Repubblica, in quest’Aula sono nate piccole e grandi conquiste; in quest’Aula sono stati recepiti i cambiamenti già in atto nella società. Proprio qui si sono fatte alcune delle leggi che hanno cambiato il Paese e la vita di milioni di donne e di uomini in ogni ambito: dalla famiglia al lavoro, dalla politica alla società (costume). Qui è morto il delitto d’onore ed è nato il divorzio; qui per la prima volta sono state tutelate le madri lavoratrici; qui è scomparso il capofamiglia maschio; qui lo stupro è diventato delitto contro la persona e non più contro la morale; qui la piaga degli aborti clandestini è stata finalmente arginata. Le battaglie delle donne fuori dal Parlamento, negli anni settanta e ottanta hanno portato a conquiste che hanno fatto progredire l’intera nostra democrazia: leggi e riforme che hanno rafforzato la nostra Repubblica democratica dando concretezza a quell’articolo 3 della Costituzione così caro, non a caso, alle madri costituenti: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge senza distinzione di sesso”.
E in quest’Aula stiamo oggi combattendo la difficile battaglia contro i femminicidi, già 17 dall’inizio dell’anno. Ce l’hanno chiesto le centinaia di migliaia di giovani donne e uomini che si sono ritrovati in piazza lo scorso 25 novembre per Giulia Cecchettin e per tutte le altre donne, amiche, compagne, sorelle. Noi dobbiamo sapere rispondere a quelle voci fornendo gli strumenti legislativi per garantirne la giustizia e l’efficacia ma anche favorire e accompagnare una vera e propria rivoluzione culturale, con un’educazione alla tolleranza, al rispetto della diversità.
Una vera trasformazione intellettuale che superi stereotipi e pregiudizi maschilisti, a iniziare dal linguaggio, da quella prova di maturità che tante volte troppe suscita ironia anche tra le donne, di chi non vuole ammettere che proprio il linguaggio non è neutro ma sottende una visione politica, per cui non c’è infermiera se non c’è sindaca, non c’è maestra se non c’è medica. Per questo appare ancora più strano e incomprensibile che la prima Presidente del Consiglio donna insista così tanto a volersi far chiamare il Signor Presidente.
Qui sotto il mio intervento alla Camera dedicato alla Giornata Internazionale delle Donne dell’8 marzo prossimo.