(Roma, 15 novembre 2023) – Non vorrei aggiungere polemica a polemica – che poi è politica più che polemica – ma oggi leggendo l’intervista alla Presidente dell’autorità garante per gli scioperi, la professoressa Paola Bellocchi, sono saltata sulla sedia. Per fare un esempio di sciopero generale improprio cita il caso dell’8 marzo.
Ora ammesso e non concesso che qualche categoria vi abbia fatto ricorso per consentire alle proprie lavoratrici di celebrare una festa di liberazione ed emancipazione, basterebbe studiare un po’ di storia per sapere che con gli scioperi quella festa ha avuto sempre molto a che fare. Che qualcuno fa risalire la scelta della data a un fatto drammatico nel marzo del 1911, quando gli stabilimenti della Triangle Shirtwaist Factory di New York presero fuoco mentre più di cento lavoratrici, soprattutto immigrate, vi erano state rinchiuse per impedirne uno sciopero.
Quello che mi colpisce è questo: perché ricoprendo un ruolo così delicato, sceglie di usare un luogo comune per chiarire un concetto? Perché dai visibilità e voce a un maschilismo endemico di cui, invece, la società piano piano si sta liberando?
Alla fine, l’unica risposta che mi rimane è che questa è l’epoca dei luoghi comuni fastidiosi e pericolosi. Ha iniziato un vice premier: “lo sciopero del venerdì serve per allungare il weekend”.
E finisce un rappresentante dello Stato che dovrebbe essere super partes e invece sta semplicemente dalla stessa parte: quella della banalità e dell’insofferenza per chi protesta.
Intanto lo sciopero resta perché le ragioni sono tutte valide: la maggioranza invece di togliere argomenti venendo incontro alle richieste dei sindacati, ha attaccato un diritto sancito dalla Costituzione e cercato di spaventare i lavoratori. Quelli stessi che, sono certa, dimostreranno la loro forza nella mobilitazione di venerdì.