(Como, 12 agosto 2022) – Più di un anno e mezzo fa si apriva la crisi dello stabilimento Sicor srl di Bulciago in provincia di Lecco, appartenente al colosso multinazionale israeliano attivo nel settore chimico-farmaceutico Teva, che il 16 febbraio del 2021 comunicò la chiusura del sito produttivo lecchese annunciando l’esubero ai 106 lavoratori.

A gennaio di quest’anno uno spiraglio positivo: “Dopo successivi sforzi per identificare un acquirente e il confronto con tutte le parti coinvolte, Teva ha raggiunto un accordo per cedere il sito di Bulciago al Gruppo Flamma”, Fabbrica Lombarda AmminoAcidi, un’azienda bergamasca che produce principi attivi per l’industria farmaceutica.

L’articolo qui sotto pubblicato in questi giorni dal Corriere della Sera conferma la buona notizia, almeno per una parte dei lavoratori lasciati a casa: “Sabato 10 settembre l’ex impianto dismesso a Bulciago riaprirà assumendo 45 persone delle oltre cento che avevano perso il posto.” E le prospettive sembrerebbero estendersi anche ad altri lavoratori a leggere le dichiarazione del titolare e ceo di Flamma: “Ma questa fabbrica può dare lavoro fino anche a 150 profili qualificati“.

Una bella notizia per i lavoratori e le lavoratrici, per il tessuto produttivo del territorio lecchese e lombardo ma anche un’operazione di reshoring (ovvero di ritorno della produzione nel paese d’origine) importante che tiene dentro una strategia europea di prospettiva e di visione fondamentale per il futuro produttivo della UE.

Nel 2001 infatti Flamma, come molte altre aziende italiane, aveva delocalizzato con successo la produzione in Cina. Oggi, invece, l’esigenza diventa opposta ovvero quella di “reimportare pezzi di lavorazione in Europa”. Una scelta strategica rilevante dettata dalla considerazione che “il 70% dei principi attivi dei nostri farmaci è prodotto tra Cina e India” e che un’interruzione qualsiasi in una parte delle catene globali del valore può causare un impatto notevole sull’intera catena, comportando scarisità di materie prime con prezzi che aumentano, o addirittura il blocco di interi settori con crisi pesanti dal lato dell’offerta.

Effetti devastanti che abbiamo imparato a toccare con mano in Europa con il crollo finanziario, la pandemia, l’invasione russa in Ucraina. Un rischio globale (ma anche d’impresa) forte, da tempo fatto oggetto di discussioni serie e preoccupate dall’European fine chemicals group, il forum europeo delle aziende della chimica fine di cui anche Flamma fa parte. Il “lungo dibattito con 190 esperti” che ne è derivato “ha permesso alla Commissione Ue di Bruxelles di produrre la Pharmaceutical Strategy; una strategia “che dovrebbe essere adottata entro la fine di quest’anno”, il cui obiettivo centrale è quello di “irrobustire la supply chain con una chimica più sostenibile”.

Una scelta rilevante a livello europeo e aziendale che dovrebbe indurre una riflessione più attenta sulla necessità di una riorganizzazione della produzione nel nostro Pese e in Europa consapevoli che l’eccessiva focalizzazione sull’efficienza di breve termine, con meccanismi volti a ridurre al minimo i costi d’impresa puntando sulla massimizzazione dei margini di profitto, ha comportato costi pesantissimi in termini di approvvigionamento, sicurezza, sostenibilità e resilienza che stiamo ancora pagando e che non siamo più in grado, alle condizioni date, di reggere.

Qui il link all’articolo del Corriere della Sera

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IMPRESE: “Flamma Group riporta la produzione dalla Cina a Lecco, nuovi posti di lavoro all’ex Teva di Bulciago”
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