(Roma, 28 luglio 2021) – Lo aveva già fatto ad aprile, in occasione degli Europei di ginnastica artistica di Basilea, presentandosi alla trave in “un elegante abito nero lungo tutto il corpo”. L’ha rifatto alle Olimpiadi di Tokyo, insieme a tutte le compagne di squadra. Sarah Voss è la ventunenne ginnasta tedesca che ha lasciato il mondo della ginnastica stupefatto per aver deciso di cambiare il look nelle gare sportive. E’ stata infatti la prima ginnasta ad aver eseguito gli esercizi indossando non il classico body tagliato alto sulle cosce come un bikini ma una tutina nera attillata lunga fino alle caviglie.
Il motivo? Mettere fine alla «sessualizzazione della ginnastica». Parole forti. «Le tute corte – ha spiegato la stessa Voss– sono simili a costumi da bagno e possono essere considerate provocanti all’esterno e far provare vergogna a chi le indossa, anche per via dei movimenti che dobbiamo fare. Non tutte le ginnaste si sentono a loro agio nei body sgambati, ci sono movimenti e attrezzi che possono mettere a disagio. Abbiamo deciso di mostrare che una ginnasta può essere elegante, forte ed espressiva anche indossando una tutina. Non deve essere un problema discostarsi dalla normalità, l’importante è stare bene con se stessi». Una presa di posizione che la Voss ha ripetuto, questa volta con tutta la nazionale tedesca di ginnastica artistica, pochi giorni fa nell’esordio alle Olimpiadi di Tokyo.
Un gesto forse sottile ma allo stesso tempo significativo con il quale delle donne, delle sportive professioniste hanno voluto ristabilire il confine tra l’estetica, la sessualità, il sentirsi a proprio agio nella loro disciplina, confine troppe volte oltrepassato.
La ginnastica è infatti lo sport fra i più colpiti dal tema molestie. Basti pensare che solo qualche anno fa l’intera squadra americana di ginnastica artistica denunciò l’ex medico della nazionale, Larry Nassar, condannato a 176 anni di carcere per abusi sessuali, coperti dalla sua posizioni, commessi su centinaia di sue ex atlete (circa 160!). La stampa di allora parlò di questo caso come del più grande scandalo della storia dello sport americano. Tra le drammatiche testimonianze anche quella di Simone Biles, la regina indiscussa della ginnastica artistica, che proprio ieri si è ritirata dalle gare di squadra a Tokyo.
Quello di Vos e compagne inizia tuttavia a non essere più solo un gesto isolato. Qualche settimana fa a Varna, in Bulgaria, la squadra femminile norvegese di pallamano su sabbia, sostenuta dalla Federazione nazionale, si è rifiutata di gareggiare gli europei con gli slip da bikini, preferendo come gesto simbolico contro il sessismo nello sport, un dress code un po’ più coprente. Ne è seguita una vera e propria «guerra degli shorts». Le giocatrici sono state multate 150 euro a testa dalla Federazione internazionale per aver voluto comunque scendere in campo con pantaloncini leggermente più lunghi, considerati dal regolamento “abbigliamento improprio”. Il provvedimento sanzionatorio ha suscitato un moto di sdegno e critiche dentro e fuori la Norvegia. Uno dei primi a reagire è stato il ministro della cultura norvegese, Raja: “E’ totalmente ridicolo. Cambiamenti comportamentali sono necessari con una certa urgenza nell’universo dello sport, conservatore e maschilista“. A farsi sentire anche un’icona del pop americano, la nota cantante Pink, una dura che aderendo alla lotta contro il sessismo nello sport ha twittato: “Sono molto orgogliosa della squadra femminile norvegese di pallamano da spiaggia che ha protestato per le regole sessiste sulla loro uniformi. La federazione europea di pallamano deve essere multata per sessismo. Brave, signore. Sarò felice di pagare le vostre multe. Continuate così“.
La rivoluzione del modo di vestirsi anche nel mondo dello sport è finalmente avviata.