(Roma, 07 giugno 2021) – “Fu ammazzato il 14 aprile del 1981, all’età di trentotto anni, da un commando di sei uomini di Cutolo, sulla tangenziale di Napoli, mentre tornava a casa. Lo lo stavano aspettando sua moglie Giuseppina, trentatré anni, i due figli, Antonino e Claudio, che all’epoca avevano cinque e tre anni.”
Lui era Giuseppe Salvia,il vicedirettore del carcere di Poggioreale di Napoli che non si piegò alla camorra.
Il 7 novembre del 1980 l’episodio simbolo, la sua condanna a morte. Il boss Raffaele Cutolo, detenuto nel carcere di Poggioreale, ancora all’apice del potere criminale napoletano, quel giorno tornato da una delle udienze sul processo alla nuova camorra organizzata minacciò gli agenti penitenziari che come da regolamento intendevano perquisirlo prima del rientro in cella. Il telefono squillo alla direzione del carcere. «Dottò, Cutolo non si vuole far perquisire. Cosa dobbiamo fare? Sa, noi abbiamo famiglia…».
Il vicedirettore Giuseppe Salvia non ci pensò su due volte, uscì dal suo ufficio e fece ciò che andava fatto: perquisì personalmente Cutolo.
Un gesto che portava dentro si sé gli ideali di giustizia e di fedeltà ad uno Stato che non arretra, che deve affermare la legalità. Un atto che Giuseppe Salvia sapeva bene avrebbe potuto costargli caro, come purtroppo accadde.
A 40 anni dall’assassinio di Salvia, comandato in carcere da Cutolo, il ricordo del figlio Antonino Salvia affidato alle pagine dell’inserto ‘L’Ordine’ de ‘La Provincia di Como’.
Per non dimenticare.