(Como, 7 marzo 2021) – Il mio primo pensiero, e credo di interpretare quello di molti dirigenti, militanti e iscritti del Partito Democratico di Como, è di gratitudine per Emanuele Caso. Non è certo scontato e nemmeno atteso che un giornalista, capace di analisi critiche che non fanno sconti, osservatore acuto della realtà politica locale e non solo, si spenda per mostrare un’emozione positiva nei confronti della nostra comunità politica. Grazie, quindi.
Detto questo vorrei analizzare, sia pure in poche righe, ma sulla base della personale conoscenza dei fatti in quanto componente della Segreteria nazionale del PD, i presupposti delle considerazioni che ho letto su ComoZero.
Il primo sono le dimissioni di Nicola Zingaretti. Ho visto e condiviso, nella vicinanza delle stanze al Nazareno, insieme a altri colleghi della segreteria, il travaglio che ha portato Nicola Zingaretti alla sua decisione. Ho percepito, nelle nostre conversazioni degli ultimi giorni, la sua fatica, a volte la difficoltà di comprendere come si potesse – da parte di alcuni soggetti – giocare la partita dell’ambiguità e trascinare il nostro Partito in un defaticante logoramento quotidiano.
Ho vissuto, dall’istante in cui in quelle nostre stanze abbiamo ascoltato e condiviso la notizia delle dimissioni, la reazione per cerchi sempre più larghi, prima di noi che eravamo lì, poi degli altri dirigenti, dei parlamentari, e via via di migliaia di iscritti e simpatizzanti, di sostegno a Nicola Zingaretti: e di rispetto per un galantuomo, un galantuomo di sinistra. E’ questo il passaggio ineludibile: il Partito Democratico non si potrà mai trasformare in un ripetitivo strumento, da affiancare ad altri, politici e non, di affermazione di un pensiero unico neoliberista.
Abbiamo di fronte questa tensione epocale, i compiti che la protratta emergenza sanitaria e quella sociale ci pongono davanti, i doveri che abbiamo nei confronti dei cittadini tutti; non possiamo distogliere lo sguardo dall’esigenza, avvertita da noi, da chi ci ha preceduto e da tutti coloro che hanno fatto la Repubblica, di accorciare le distanze tra i primi, gli aristocratici, i tecnocrati, e gli ultimi, i penultimi e coloro che rischiano di scivolare verso il basso.
Ecco, di fronte a tutto questo, l’episodio, simbolico ma non banale, di un gruppo di giovani che visita (non occupa) la sede del Partito Democratico e viene ascoltato dalla presidente Valentina Cuppi, deve essere considerato un fatto che dimostra la maturità degli interlocutori. Ed è un peccato che per ingenuità o ansia di comunicazione (i selfie con i sacchi a pelo, la “finta” tenda, le dichiarazioni a effetto) venga ridotto, proprio da alcuni protagonisti, a un’iconografia, essa sì, banalizzante.
Il progresso politico non è fatto di “racconti brevi” ma di lavoro, se è necessario aderendo ai partiti, lo strumento principale con cui – lo dice la Costituzione e io lo credo fermamente – i cittadini concorrono con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Non è un passaggio semplice; per chi come me da anni milita e ha l’onore di rappresentare una comunità di iscritti, militanti, elettori appassionati e generosi è un passaggio doloroso. Ma è soprattutto un momento che esige serietà e silenzio operoso. Personalmente ho provato a farne un costume di vita e non sono la sola, nella mia comunità politica.
Tutti noi sappiamo di avere dalla nostra parte il buon giornalismo, anche quando è giustamente critico.
Qui il link all’articolo di ComoZero