(Roma, 10 novembre 2020) – “Sul clima si gioca il futuro del mondo e di ognuno di noi, dobbiamo cambiare”.
Il riscaldamento globale, i cambiamenti climatici non sono cose lontane e astratte, ma questioni che minano alla base la nostra esistenza, quella delle nostre famiglie, delle nostre società.
Su Immagina, e più sotto, la bella intervista di Stefano Cagelli a Andri Snær Magnason, lo scrittore islandese che ha fatto della lotta contro il global warming la sua ragione di vita.
“Sul clima si gioca il futuro del mondo e di ognuno di noi, dobbiamo cambiare”. Colloquio con Andri Snær Magnason
E’ l’intellettuale più famoso del suo Paese a livello internazionale, uno degli attivisti per il clima più conosciuti e impegnati nel mondo. Dagli anni Novanta ad oggi la sua vita, così come la sua opera, è stata quasi interamente dedicata alla lotta contro il global warming, alla divulgazione e alla diffusione di una consapevolezza nuova, con un solo grande obiettivo: far capire a tutti che i cambiamenti climatici non sono cose lontane ed astratte, ma questioni che minano alla base la nostra esistenza, quella delle nostre famiglie, delle nostre società.
Andri Snær Magnason lo ha scritto nero su bianco, nei suoi libri (l’ultimo è Il tempo e l’acqua, edito da Iperborea), lo ha detto insieme agli altri attivisti globali per il clima, assieme alla sua connazionale Björk, lo ha spiegato attraverso documentari come Dreamland, l’ha portato all’attenzione di leader morali globali come il Dalai Lama, si è pure messo in gioco in prima persona candidandosi alle elezioni presidenziali nel suo Paese. Come si può superare l’Antropocene, l’epoca geologica in cui l’uomo è la prima causa di cambiamento e distruzione del pianeta? Ne abbiamo parlato direttamente con lui e quello che ci ha detto è decisamente interessante.
Lei ha descritto il dibattito sul cambiamento climatico come un “ronzio”. Come può diventare (finalmente) questo ronzio un tema di massa?
“L’idea è che questo argomento diventi stimolante per tutti noi. Non è semplice, perché parliamo di una previsione scientifica, che richiede a tutti di immaginare uno scenario che molti considerano molto lontano. I problemi del presente e della vita quotidiana sono quelli su cui tendiamo a concentrarci di più. E poi, il cambiamento climatico è un processo graduale, normalizziamo il cambiamento ogni anno. Come la vita durante il lockdown, che è diventata “normale” in maniera molto strana. La mia idea è che dobbiamo connetterci al futuro in modo intimo. Il cambiamento climatico deve essere percepito come quella cosa che rende la vita difficile alle persone che ci stanno vicino. Per diverse ragioni, il global warming è rappresentato come un problema che riguarda gli orsi polari o alcune isole lontane che possono essere sommerse dall’acqua. Ma in realtà è un problema che influisce in maniera diretta e pesante sulle vite di tutti noi, dei nostri nonni e dei nostri nipoti. E’ un problema che riguarda anche il linguaggio. Se dico che il livello del mare salirà di un metro, nessuno pensa a quante spiagge e città nel mondo potrebbero scomparire. Sono questioni che non vengono considerate, finché non accadono veramente. Come la teoria sulla bomba atomica e le immagini di Hiroshima devastata, con milioni di storie personali. Questo è il problema del riscaldamento globale. E il paradosso è che, se il peggio sarà evitato, qualcuno dirà che le previsioni catastrofiste erano sbagliate…”.
La pandemia che ha investito tutto il mondo ha costretto governanti e cittadini a prendere scelte drastiche, addirittura impensabili fino a qualche mese fa. Perché un’altra grande emergenza planetaria come il climate change non muove così tanto la politica e l’opinione pubblica?
“Ancora una volta il problema riguarda il pensiero a lungo termine contro il pensiero e breve termine. Persino le due settimane in cui il Coronavirus è esploso nel mondo fuori dalla Cina sono state un tempo troppo lungo. Ricordo che quando in Italia c’era il caos, a Londra o a New York tutti vivevano in maniera molto rilassata, anche se era ovvio che la stessa situazione si sarebbe riproposta lì nel giro di pochi giorni. Abbiamo sostanzialmente distrutto le nostre economie nel giro di quindici giorni per rispondere all’emergenza del Covid. Per portare le nostre economie a livelli compatibili con gli standard di emissioni di CO2 servirebbero misure molto meno drastiche. Potremmo continuare ad andare alle feste, abbracciare i nonni, uscire a cena con gli amici e andare a scuola. Ma le parti vitali dei nostri sistemi energetici necessitano di una trasformazione, soprattutto culturale, volta al rispetto verso le altre speci presenti sul pianeta. Il declino di molte speci negli ultimi 50 anni è frutto del fatto che abbiamo visto la natura esclusivamente come una risorsa, proteggendo solo alcuni frammenti. Serve una svolta radicale, che si porti alla comprensione, al rispetto e all’amore per la natura. Nel mio libro faccio riferimento al razione contro l’irrazionale. La nostra industria è stata costruita su “fatti concreti e razionali”, mentre l’amore per la natura è sempre stato “soft” e irrazionale. Il risultato delle nostre decisioni “razionali” ha sbilanciato i nostri sistemi terrestri. Quindi, in realtà, sarebbe stato molto più razionale considerare sacre le nostre foreste, le nostre montagne, i nostri animali. In questo modo non avremmo avuto il problema di vivere in un mondo in cui la natura possa essere trasformata in un prodotto usa e getta”.
Il dibattito sulle misure anti-Covid spesso si concentra su due posizioni: c’è chi ritiene la tutela della salute come assoluta priorità e chi invece antepone a questa la difesa dell’economia. La conseguenze dei cambiamenti climatici sono devastanti sia per la salute che per l’economia. Non dovrebbe essere sufficiente questa considerazione?
“Guardi, il problema del riscaldamento globale è noto dagli anni ’90, molti politici erano assolutamente pronti a comprendere il problema. La scienza in materia era molto giovane, ma la fisica relativa al CO2 nell’atmosfera non è così complessa. L’atmosfera intrappola il calore e più CO2 c’è nell’atmosfera, più calore viene intrappolato. Le conseguenze esatte di tutto ciò sono qualcosa di complesso da prevedere sulla base di modelli informatici, ma il quadro è sempre stato molto chiaro. In un mondo normale, avremmo cominciato ad affrontare il problema trent’anni fa ed oggi saremmo vicini ad una soluzione. Ma le compagnie petrolifere e gli altri gruppi hanno speso miliardi di dollari, minando alle basi la scienza per creare confusione e disinformazione. Credo che le future generazioni considereranno questa campagna di disinformazione come uno dei più grandi crimini di guerra e i responsabili saranno perseguiti. Possibilmente come furono perseguiti i criminali di guerra della seconda guerra mondiale”.
Il mito del progresso, della dominazione dell’uomo sulla natura, la sensazione che l’umanità fosse imbattibile, tutto questo ha portato a questa situazione. Come si cambia il corso delle cose? Secondo lei i giovani dei Fridays for Future, che hanno invaso le piazze di tutto il mondo, hanno capito davvero fino in fondo la portata della loro battaglia?
“Penso che stiamo sopravvalutando il cambiamento a breve termine e sottostimando quello a lungo termine. Guardate le elezioni americane, dove i due candidati avevano entrambi quasi ottant’anni. Questo significa che ragazzi di vent’anni, oggi, potrebbero correre per quella carica nel 2080. Giovani e anziani hanno fondamentali differenze di vedute sul futuro, l’industria, la natura. Credo che nei prossimi anni le differenze emergeranno e molte delle abitudini e della consuetudini con cui siamo cresciuti noi, verranno considerate assurde. Le cifre di oggi sono assurde, come quelle che mettono a confronto gli animali allevati e gli animali selvatici. Credo che ci sarà una tendenza al rewilding, un’avanzata della natura nelle nostre città, dei nostri giardini, dei nostri parchi. Come per esempio sta avvenendo in Costa Rica, con il rimboschimento. E siccome la questione è così grande e fondamentale, vedremo istanze nuove, sia in politica che negli stili di vita. Alla generazione dei Fridays for Future è stato detto di stare a casa per un anno, a causa di un virus. Loro vedranno che i governi possono realmente fare le cose e vedranno anche il conflitto tra interessi pubblici e interessi privati in maniera differente”.
Il futuro da una parte, il passato dall’altra. Come può il nostro sistema di miti e tradizioni aiutare il processo di consapevolezza e riflessione sui grandi cambiamenti del mondo?
“Gli esseri umani hanno sempre utilizzato i miti e le storie per capire, insegnare e spiegare le cose complesse. Proprio come le stelle nel cielo che diventano Orsa Maggiore e Orione. Anche di recente è stata trovata la “Particella di Dio”, il bosone di Higgs basato sulla ricerca del Cern. Non ci ricorderemmo di molte di queste cose se non fossero connesse ad una storia o ad un mito. In Islanda abbiamo fianco a fianco la geologia spiegata attraverso la scienza e il folclore, e non devono essere in contraddizione. Qui ci sono formazioni di basalto chiamate ‘Chiesa degli Elfi’. L’idea che porto avanti nel libro è che talvolta abbiamo bisogno di termini differenti per chiamare le cose. Per parlare della scienza si può usare la mitologia, per parlare del futuro si può usare il passato, per parlare di numeri non è necessario usare le cifre precise, ma a volte è meglio trasferirli tramite immagini, come i vulcani. Quindi un ghiacciaio è un ghiacciaio, certo, ma è anche una mucca che ti dà del latte bianco quando ne hai bisogno. Costruisco il mio libro e quindi il mio modo di comunicare utilizzando il meglio della scienza, ma usando una narrazione che mette insieme storie di famiglia e mitologia. Come ha detto un’azzeccata definizione di una rivista italiana, dando un’anima ai dati”.
Numeri alla mano, il 2020 registrerà un sensibile calo delle emissioni di CO2. Cosa significa? Indica una strada da seguire e, se sì, quale direzione è?
“Questo calo va sicuramente nella giusta direzione, ma ci sono molti sfumature e molte incertezze. Forse è solo un momento di pausa nel drammatico percorso di crescita intrapreso negli ultimi anni, forse invece è un punto di rottura reale e i governi stanno cominciando finalmente ad agire. L’unica cosa certa è la direzione da seguire, molto chiara: arrivare ad emissioni zero”.
Oggi come oggi gli equilibri politici globali dipendono anche dalla crisi climatica.
“Voglio essere ottimista e credo che la storia ci dia delle buone ragioni per essere ottimisti a un certo livello. Le Nazioni Unite sono state formate dopo la fine della seconda guerra mondiale. Dopo qualcosa di molto brutto, talvolta è arrivato qualcosa di molto bello. La nostra generazione deve inventarsi qualcosa di grande e ambizioso, come lo sono state le Nazioni Unite”.
Lei conosce molto bene l’Italia, ho letto che è solito passare le proprie vacanze a Ustica, come pensa si stia muovendo il nostro Paese sul lato, per esempio, della fonti di energia rinnovabili e della mobilità sostenibile?
“Sì, è vero, conosco molto bene l’Italia, l’ho visitata più volte da nord a sud e la prima volta che sono stato in Sicilia era il 1998, mentre scrivevo il mio libro Il Pianeta Blu. Ho portato la mia famiglia a Ustica per scrivere il mio libro almeno sei volte, spesso restando anche uno o due mesi. Quando ci sono stato la prima volta, più di vent’anni fa, la casa in cui alloggiavo era interamente alimentata tramite pannelli solari sul tetto, che producevano l’energia necessaria per la casa e per un’auto elettrica. Le fonti di energia rinnovabili hanno una grande importanza e grandi potenzialità in un Paese come l’Italia, che ha anche forme avanzatissime di design da questo punto di vista. Anche dal punto di vista della mobilità si usa tanto la ‘Vespa’, che è leggera e può essere elettrica. Una volta, poi, ho incontrato una donna che mi ha detto che l’essere umano avrebbe bisogno di studiare e capire come gli antichi romani producevano il cemento. Stiamo parlando di millenni fa, ma era fatto in modo molto più sostenibile allora che oggi”.
In conclusione, le vorrei chiedere della sua terra, l’Islanda. Terra di ghiaccio e di fuoco, terra di frontiera e di confine. Come state vivendo questa delicatissima fase di transizione storica e qual è la consapevolezza dei suoi concittadini relativamente alle questioni climatiche?
“L’Islanda è piena di esempi di eccellenza, ma è anche una terra dove si sono fatti tanti errori. Alcuni politici lungimiranti, negli anni ’30, hanno creato un sistema per cui la nostra capitale, Reykjavík, è riscaldata con energia geotermica. Grazie a quel sistema noi, oggi, possiamo fare il bagno in una piscina all’aperto, con acqua calda, nel mese di gennaio. Poi abbiamo un sacco di fiumi, con energia pulita, ma abbiamo corso troppo e consumato tutte le nostre risorse troppo in fretta. Abbiamo alle spalle una lunga serie di errori. La maggior parte del nostro terreno incontaminato viene utilizzato per nutrire le pecore, così ha perso tutte le sue proprietà, stiamo cercando di recuperare ciò che i nostri antenati hanno distrutto. Gli islandesi sono abituati ai cambiamenti climatici e agli eventi naturali: anni freddissimi, eruzioni vulcaniche, esplosioni di ghiacciai, ricordi di un periodo addirittura molto caldo intorno all’anno 1000. Per questo siamo portati a pensare che il cambiamento climatico sia normale, mentre in quello che viviamo oggi non c’è nulla di normale perché ai normali eventi regionali si sommano gli eventi globali. Agli islandesi non dispiace un clima un po’ più caldo rispetto a quello freddo e ostile a cui sono abituati, ma devono rendersi conto che non è per nulla una cosa buona per la nostra pesca, per i nostri ghiacciai che si sciolgono, per i nostri uccelli marini. Noi siamo pochi e pensiamo che ciò che facciamo non abbia conseguenze e non abbia importanza. Invece ciò che mi sento di dire – e vale per l’Islanda così come per ogni altro posto nel mondo – è che tutto ciò che ogni singola persona fa, a cominciare, perché no, da chi decide di votare, è importante e può contribuire al cambiamento.