(Roma, 29 giugno 2020 – pubblicato su Immagina) – Il periodo complicato che stiamo vivendo e le conseguenze della pandemia da Coronavirus sollecitano rapidi cambiamenti. È di ieri l’appello sottoscritto dal nostro segretario Zingaretti, insieme a più di altri 100 tra premi Nobel, esponenti del mondo della ricerca e leader politici che richiama a un’alleanza globale perché il vaccino contro il Covid sia un bene universale.
Scelte radicali che vanno nella stessa direzione di quelle necessarie per affrontare concretamente la sfida più grande che abbiamo, quella contro il cambiamento climatico. Salute e dignità della persona umana, ambiente e salvaguardia del pianeta: di fronte a questi obiettivi ci vengono in soccorso le parole di Papa Francesco. Storico il suo discorso all’umanità sotto la pioggia in una piazza San Pietro deserta: “Nessuno si salva da solo” e il monito che ricorda che “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”.
E proprio nel quinto anniversario dell’enciclica Laudato Sì, con la quale il Pontefice ha richiamato il mondo al grido della terra e dei poveri, nel 2020, si è inaugurato l’Anno speciale di anniversario della Laudato Sì: 365 giorni per riflettere sull’enciclica, dal 24 maggio scorso fino al 24 maggio 2021. E un’altra Enciclica sui temi ambientali è in via di redazione. Nella lettera inviata al Presidente della Colombia, Paese ospitante della Giornata mondiale dell’Ambiente 2020, il Papa ha espresso la preoccupazione di chi vede ancora troppo assente l’impegno ad affrontare questa priorità: “La cura degli ecosistemi ha bisogno di uno sguardo al futuro, che non rimanga solo nell’immediato, alla ricerca di un guadagno facile e veloce; uno sguardo carico di vita e che cerchi la conservazione a beneficio di tutti”. La salvaguardia dell’ambiente è indissolubilmente collegata alla giustizia verso i poveri e alla soluzione dei problemi di un’economia che persegue soltanto il profitto.
La sostenibilità non è soltanto la via necessaria per preservare l’ambiente in cui vive l’uomo, è la strada per rinnovare l’economia e per produrre lavoro e benessere. Insomma, curare la “casa comune” cura l’intera società. Il mondo occidentale ha sulle spalle un pesante fardello, ma ha ora il compito di guidare un percorso che persegua uno sviluppo nuovo, più giusto e sostenibile. L’Europa ha scelto di intraprendere questa strada con decisione e anche l’Italia può giocare a pieno titolo un ruolo da protagonista. Come descrive una recente pubblicazione della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile la classifica finale del Green Complexity Index, un indicatore elaborato dalla School of Enterprise and the Environment che ha analizzato il potenziale di crescita green delle nazioni a partire dalla loro capacità di esportare prodotti green tecnologicamente avanzati, l’Italia si colloca al secondo posto, subito dopo la Germania e seguita da Stati Uniti, Austria, Danimarca e Cina. L’Italia è stabilmente nella top ten dei produttori green ad alto tasso tecnologico e la Cina è uno dei Paesi che ha registrato la maggiore crescita nel settore. Si può quindi considerare che l’Italia, insieme agli altri “colossi” della green economy, è uno dei Paesi con le migliori prospettive di crescita economica derivante da un orientamento green del Made in Italy, e conseguentemente anche uno dei Paesi che trarrebbe maggiore vantaggio, sia in termini di crescita che di competitività economica, dall’implementazione di un Green Deal per la ripresa dalla attuale crisi post Coronavirus.
La spinta in favore del Green Deal è quindi più che mai rafforzata e da qui viene la prima risposta concreta, promossa dalla Commissione Europea. È ormai evidente che il forte cambiamento in corso nella politica europea per affrontare la crisi prodotta dall’epidemia da COVID19 orienterà i finanziamenti, oltreché a temi legati alla sanità e alla coesione sociale, alla green economy e al digitale. Una partita che l’Italia può giocare a testa alta, con la competenza della nostra ricerca e la laboriosità delle nostre imprese. Ma questo non potrà avvenire senza una trasformazione profonda della pubblica amministrazione che deve scommettere su innovazione e semplificazione: la “buona burocrazia” è un’alleata determinante per orientare e accompagnare l’attività economica, senza che questo significhi cedere sulle terreno della trasparenza e della legalità. Per questo è fondamentale immettere nella macchina amministrativa competenze e professionalità capaci di innescare il cambiamento: una nuova generazione di funzionari pubblici, come proposto da Zingaretti, che lavorino sui settori decisivi per una vera transizione ambientale e il rilancio di investimenti pubblici di qualità.
Giovani, quindi, e, io aggiungo, donne. Perché lo sguardo delle donne non è neutro e può contribuire a cambiare in meglio la macchina pubblica. Penso alla consapevolezza che soprattutto le donne hanno della necessità di coniugare in modo più sostenibile di quanto lo siano ora i tempi di vita, di lavoro e di cura, l’organizzazione degli spazi della città, le modalità di esercizio dell’impegno pubblico. Basta poi alzare un po’ lo sguardo per riconoscere come il degrado ambientale alimenta nel mondo disparità e violenza contro le donne. L’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) sostiene infatti che a causa della crisi climatica, della deforestazione e dell’inquinamento si stiano aggravando la “disuguaglianza di genere e gli squilibri di potere nelle comunità e nelle famiglie che affrontano sia la scarsità delle risorse che lo stress sociale”.
Quanto più peggiora la salute del pianeta tanto più le donne corrono il rischio di essere sfruttate e di vedere compromessi i loro diritti e le battaglie per affermarne di nuovi. La Conferenza nazionale delle Donne democratiche che in questi giorni ha ripreso il suo cammino con l’elezione della sua portavoce e coordinatrice, Cecilia D’Elia, sarà una voce autonoma e autorevole per richiamare tutti a una battaglia per un mondo migliore perché più sostenibile.