“Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e i visi amici:
considerate se questo è un uomo”
(Roma, 02 novembre 2018) Questi primi versi della poesia di Primo Levi risuonano insistentemente nella mia mente al ritorno da questi giorni di visita al campo della morte di Auschwitz-Birkenau. Tornare a casa e ripensare continuamente alle parole dei due sopravvissuti alla Shoah – Sami Modiano e Tati Bucci – che ci hanno accompagnato in questa esperienza terribile e straordinaria, raccontandoci le loro storie di separazione, sofferenza, disperazione e dolore è qualcosa che rimarrà per sempre nella testa e nel cuore di ciascuno di noi. Rendersi conto dell’immensità della tragedia che ha segnato la storia dell’umanità, troppo spesso dimenticata, rimossa, se non rinnegata da parte di rigurgiti nazionalisti e razzisti che tornano ad attraversare l’Europa e anche l’Italia.
Pensare alla tragedia di due sorelline ebree di 6 e 4 anni – Tati Bucci e la piccola Andra – separate dalla loro famiglia, scampate ad una morte immediata nelle camere a gas solo perché scambiate per gemelline e quindi destinate, nella mente folle dei loro aguzzini, ad essere cavie umane. Ascoltare il racconto di Sami Modiano, unico sopravvissuto della sua grande famiglia ebrea di Rodi, un ragazzino di solo 13 anni sottoposto a fame, violenza, lavoro disumano; costretto a separarsi dalla sua sorella adorata Lucia morta ad Auschwitz e da un papà protettivo e lacerato dalla pena per i suoi figli, che negli ultimi attimi della sua vita ha lasciato a Sami le parole che l’hanno accompagnato per tutta la vita: “Tieni duro Sami, tu ce la devi fare”.
Camminare in una surreale giornata di sole di fine ottobre nei luoghi dove invece tutto è grigio e parla di morte, dove sono stati sterminati milioni di ebrei, omosessuali, rom e sinti, dissidenti politici; intere famiglie e generazioni spazzate via dalla follia di un piano di morte studiato nei minimi dettagli dai carnefici nazisti, iniziato con la vergogna delle leggi raziali e consumato per troppo tempo nell’indifferenza delle nazioni e dei popoli. Ripercorrere quei passi, ascoltare le parole strazianti di Sami e Tati che indicano i luoghi fisici della loro prigionia, descrivono quanto hanno visto e vissuto con i loro occhi di bambini innocenti, colpevoli solo di essere nati ebrei. Si prova uno smarrimento interiore e un senso di impotenza sconosciuto di fronte a tutto questo dolore, pensando a quello che è stato e che potrebbe ripetersi di nuovo, così come allora.
E tuttavia sono queste ultime parole della straziante testimonianza di Sami Modiano che oggi di anni ne ha 88, pronunciate nel LagerA di Birkenau, di fronte al filo spinato e ai resti delle baracche dove ha vissuto l’orrore, ad indicarci la strada: “La nuova generazione ha bisogno di sapere, la storia deve sentirsi dire. Io so molto bene che qualche cosa rimane, e questo qualcosa che rimane per me è importantissimo. Lo farò, mi sono giurato che fin quando Dio mi darà la forza di farlo, io non mi fermerò mai, mai e poi mai. Voi che siete qui oggi presenti, raccontatelo, ditelo ai vostri figli, fate in modo che questo non si dimentichi. È successo e si deve sapere.”
Ascoltate queste parole, fatele ascoltare.
Conservare e tramandare la memoria, questo è il nostro dovere, in ogni luogo e in ogni tempo.