In questi giorni, complice “l’emergenza siccità“, si è tornati a parlare molto di acqua. Del modo in cui la tuteliamo, la utilizziamo, la sprechiamo. Pubblico questi due articoli (Noi, vittime della rete colabrodo di Carlo Petrini – La Stapma e La beffa dell’acqua pubblica. Dopo il sì al referendum tariffe quasi raddopiate di Sergio Rizzo – la Repubblica), comparsi oggi sulla stampa nazionale, che fanno un punto (parziale perché non può che essere così) della questione. Sono entrambi significativi e mi danno lo spunto per riportare l’attenzione ad una discussione che in Parlamento, alla Camera, abbiamo fatto su questi temi più di un anno fa, quando il 20 aprile 2016 approvammo in prima lettura la legge su tutela, governo e gestione pubblica dell’acqua.

Ricordo in quei giorni i toni accesi, le accuse di “tradimento” del referendum del 2011, lo sguardo concentrato quasi soltanto sul più marginale degli aspetti – che natura giuridica deve avere il gestore del Servizio idrico integrato? nell’eterna e sterile contrapposizione tra “pubblico” e privato” – e quasi nulla, neanche una riga sui quotidiani e sui social, sulle altre questioni di fondo: quanta acqua sprechiamo? quanto siamo in ritardo sugli investimenti che servirebbero a ridurre questi sprechi e a pianificare meglio l’uso di una risorsa essenziale e così scarsa? quanto è importante dare finalmente rapida attuazione a quello che già il Parlamento ha approvato due anni fa nel Collegato ambientale sulla pianificazione di distretto dei bacini idrografici?

Riporto qui un piccolo stralcio della mia dichiarazione di voto in Aula, per il gruppo del PD, su quella legge:

“Guardate colleghi, io lo capisco: è molto, molto più facile ridurre tutto ad una disputa sulla natura giuridica di chi deve gestire il servizio idrico, ad una contrapposizione ideologica tra il pubblico “buono” e il privato “cattivo”, o viceversa. Ma attenzione, perché rischia di essere drammaticamente autoassolutorio per tutti, noi compresi, fermarsi qui; perché ci impedisce di andare a fondo, di affrontare il vero nodo della questione che invece deve starci a cuore: come facciamo a garantire ai cittadini un servizio efficiente, salvaguardando una risorsa preziosa e scarsa come l’acqua. La realtà come sempre, è più complessa, e dobbiamo tenerne conto; esistono nel nostro Paese esempi di eccellenza nella gestione del servizio idrico, ma dobbiamo dirci anche con franchezza che siamo il Paese con una dispersione idrica del 35%oltre 3 miliardi di metri cubi di acqua all’anno finiscono nel nulla – che molte nostre Regioni non hanno ancora acquedotti, fognature e depuratori adeguati e per questa ragione sono sottoposte a procedure di infrazione in Europa che gravano sulle tasche dei loro cittadini; questo lo sappiamo dipende anche dal fatto che molte di loro ancora non si sono dotate di un’efficiente organizzazione del servizio idrico integrato, disattendendo norme ormai da decenni. Noi abbiamo cercato con questa legge di costruire delle soluzioni a questi problemi, riordinando il quadro normativo in materia di tutela, pianificazione e gestione e creando le condizioni perché si facciano finalmente gli investimenti necessari e urgenti a garantire tutto il ciclo dell’acqua. Abbiamo rafforzato il ruolo di guida del processo e di controllo della gestione che è e deve restare fortemente ancorato nelle mani pubbliche, nella responsabilità degli enti locali. (…) In questa legge abbiamo identificato con chiarezza e messo a sistema, per aumentarne l’efficacia, le fonti di finanziamento del servizio idrico: la tariffa prima di tutto, sulla quale è fondamentale il compito di regolazione attribuito all’Autorità, il Fondo per le opere idriche previsto dallo Sblocca Italia per le opere di collettamento, fognatura e depurazione e il Fondo di garanzia previsto dal collegato ambientale; abbiamo poi previsto per la prima volta un canale di priorità dei finanziamenti già erogati per finalità ambientali dalla Cassa depositi e prestiti a favore degli interventi sulla rete del servizio idrico integrato. Su questo punto voglio essere chiara: per noi tutte le risorse pubbliche e quelle derivanti dalla tariffa devono essere destinate a fare gli investimenti che servono sulle reti ed a aumentare la qualità del servizio ai cittadini. Prendiamo atto che qualcun altro invece avrebbe preferito regalare qualche miliardo di euro ai privati per acquisire le loro quote di gestione del servizio idrico, solo per il gusto di proclamare di essere “per l’acqua pubblica”, senza preoccuparsi di far gravare il peso di questa operazione sulla fiscalità generale e gettando il settore idrico, in molte parti del Paese, in un caos senza senso. ”

Non tutto ha bisogno per forza di una legge – e comunque questa è ferma lì, dall’aprile 2016, al Senato – perché molto dipende dalla capacità di attuare quello che già c’è, da parte dei Ministeri, delle Regioni, dei Comuni.
Ma se vogliamo provare a costruire una risposta seria a quella che continuiamo a chiamare impropriamenteemergenza“, fingendo di non sapere che con questi problemi dovremo sempre più fare i conti nell’ordinario, resto convinta più che mai che questi nodi li dobbiamo affrontare e provare a risolvere.

 

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ACQUA, SICCITA’: “Improrio chiamarla emergenza”
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